Riceviamo da Giannino Tiziani e pubblichiamo
Considerata la caduta verticale delle presenze turistiche a Tarquinia, caduta che sotto il profilo economico ha comportato una perdita sempre più grave con il passare degli anni, rispetto alla quale nessuno ha messo in campo alcuna iniziativa concreta, riteniamo di dare un utile contributo rinfrescando la memoria dei tarquiniesi rispetto ad una risorsa tanto importante quanto, incredibilmente, da sempre trascurata.
Dei tre soggetti di cui stiamo parlando, due rispondono rispettivamente ai nomi di Filippo Lippi e di Pompeo Batoni, il terzo è invece mitologico. Il loro comune denominatore è Tarquinia e Corneto. Tralasciando Filippo Lippi e la sua Madonna di Corneto-Tarquinia, l’opera fuori sede sicuramente più nota conservata da quasi ottant’anni a Palazzo Barberini, parliamo ora del celebre Sarcofago delle Amazzoni. A Tarquinia fu infatti ritrovato nel 1869; Il governo lo destinò al museo archeologico di Firenze che era allora dotato delle strutture necessarie alla sua conservazione. Il sarcofago, di grandi dimensioni, è datato al IV secolo a.C. (350-325) ed è dipinto su tutti e quattro i lati con il mito delle Amazzoni (Amazonomachia) su un fondo omogeneo di color violetto vinaccia. La sua “utilizzatrice finale” era una tale Ramtha Uzenai, il cui nome è inciso in caratteri etruschi sulla superficie dipinta. La cassa è probabilmente di origine greca, essendo realizzata in marmo dell’Asia Minore, inesistente in Italia ed anche per l’alto livello dell’esecuzione pittorica, forse etrusco invece il coperchio che ha sui due frontoni scolpito in basso rilievo il mito di Atteone sbranato dai cani.
Non sarà che Firenze, che di suo ha tanta arte antica e meno antica, potrebbe fare a meno di un sarcofago che con la storia del territorio fiorentino non c’entra niente? Forse a Tarquinia, che di suo ha un museo archeologico nazionale, un bel posto non gli si potrebbe trovare?
Il Pompeo in oggetto, invece, è ancora meno noto. È Pompeo Batoni, il pittore nato a Lucca nel 1708 e morto a Roma nel 1787, il celeberrimo ritrattista di tutta la più grande aristocrazia romana ed internazionale del Settecento. Suo è il ritratto su tela a tre quarti di figura del Marchese Niccolò Soderini, firmato e datato 1768, conservato anch’esso come la Madonna di Filippo Lippi, presso la Galleria Nazionale d’arte antica in Palazzo Barberini. La proprietà di questa tela stupenda è sicuramente del Comune di Tarquinia, risultando dapprima conservata nel Palazzo Comunale (i Soderini erano cittadini cornetani e proprietari di Palazzo Vitelleschi) e poi confluito nel Museo istituito proprio nello stesso palazzo.
Non sarà il caso di fare qualcosa perché il “signor marchese” torni a casa? Per ora la giriamo agli elettori, affinché ne facciano un promemoria da inviare ai prossimi amministratori. Il tempo a disposizione di ognuno di noi non è infinito, avremo modo di vedere queste opere di nuovo nel paese per cui erano nate? Non c’è motivo che regga perché sia negato il loro ritorno a casa, l’unico ostacolo vero finora è stata la nostra inadeguatezza e la nostra passività.
Dott. Giannino Tiziani