(s.t.) Alla fine, probabilmente, la chiave di lettura di questi mesi di politica sta nella capacità di conoscere l’elettorato, la popolazione, e di parlarci: chi ha saputo mantenere o creare questo legame biunivoco di ascolto e percezione da un lato e di segnali e stimoli dall’altro ha ottenuto le risposte che cercava, anche se magari non è bastato per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Per spiegare questo mio pensiero parto non dai vincitori, ma dal più sorprendente tra gli sconfitti, quel PD rimasto fuori persino dal ballottaggio che – è un’opinione del tutto personale, ma come redazione ci impegneremo ad analizzare la situazioni e gli umori del partito con una serie di interviste – in questi dieci anni di governo ha probabilmente smarrito la capacità di tastare il polso della popolazione cittadina, e forse anche dei suoi stessi tesserati. Salvo ritrovarla, in parte, nelle ultime ore, scoprendo debolezze inaspettate concretizzatesi violentemente nel responso delle urne.
È paradossale, invece, scoprire come un candidato giunto dall’esterno sia stato in grado, in molto meno tempo, di analizzare l’elettorato tarquiniese, segmentarlo e – sulla base di queste valutazioni – lanciare una serie di messaggi (è vero, spesso aggressivi sino al limite, ma ahimè la politica non prevede esclusione di colpi) di incredibile efficacia, capaci di fidelizzarne una parte in maniera quasi estrema. Gianni Moscherini e il suo staff compiono una mezza impresa elettorale: in pochi all’inizio di questa sua avventura tarquiniese – e ancor di più dopo la gaffe sulle mura tuscanesi – avrebbe scommesso su un posto al ballottaggio, o che sarebbe riuscito a raccogliere i pur non sufficienti 2.800 voti di ieri sera; ed in fondo il colpo di grazia al PD tarquiniese ed all’era Mazzola, spegnendogli ogni velleità di vittoria, lo dà lui, con quella manciata di voti che tiene Ranucci fuori anche dal secondo turno. Semmai gli eccessi, sopratutto su Facebook, degli ultimi giorni hanno creato una sorta di reazione emotiva che, probabilmente, ha spinto qualche voto in più verso un avversario comunque già in netto vantaggio.
Poi ci sono i vincitori: Pietro Mencarini in primis, la cui figura – pur comunicativamente schiva, o forse proprio per questo – si dimostra a giochi fatti la più adatta a vincere questa partita elettorale per come si è, via via, dipanata. Ma anche, e forse soprattutto, le liste a suo sostegno; l’una, Rinnova, caratterizzata da un lavoro di gruppo che culmina nel suo leader, Manuel Catini; l’altra, Idea e Sviluppo, più incentrata intorno alla figura di Pietro Serafini. Il loro lavoro in questi anni – soprattutto all’Università Agraria, ma anche con tutta una serie di iniziative a carattere organizzativo o di presenze sui social – gli ha costruito attorno una base d’ascolto e fiducia importante, decisiva nel risultato complessivo e nei tanti, buoni, risultati individuali. Forse proprio le reazioni di quella base hanno spinto i due gruppi ad uno strappo sicuramente inelegante, ma alla fine dei giochi probabilmente decisivo, con Roberto Fanucci, spingendo per la forzatura che, alla fine, ha convinto Mencarini a candidarsi.
Quello è stato forse il momento determinante delle elezioni: col senno di poi, lì probabilmente si è spenta la possibilità – a lungo realistica – di una candidatura vincente di Renato Bacciardi, che esce deluso al primo turno ma con un buon risultato personale ed ora pagherà – c’è da capire quanto a lungo – l’abbraccio, e la bandana, dell’ultim’ora con Moscherini. A conti fatti, al primo turno gli sono mancati all’appello i voti delle liste di sostegno.
Giudizio sospeso su Movimento 5 Stelle e Primavera per Tarquinia. Per i primi non si può parlare certo di flop, con la lista che risulta la più votata – anche per ovvi motivi di concentrazione, o meglio di dispersione nelle altre coalizioni – della città. I secondi, invece, non ottengono un seggio in consiglio, ma fanno un risultato numerico anche migliore di quello di Celletti di cinque anni prima. Per entrambi la valutazione passerà, perciò, dal comportamento che sapranno tenere, d’ora in poi, all’opposizione; i primi anche dentro al consiglio, i secondi solo dall’esterno, magari portando avanti le istanze statutarie che sono state alla base di questi mesi di attività.
E sul comportamento si valuterà, dal momento dell’insediamento, anche la nuova amministrazione Mencarini: solo il tempo e l’azione di governo ci diranno se la fiducia dei tarquiniesi è stata ben riposta, se davvero quello è il fronte del cambiamento o se – come asserito da Moscherini – ci sarà continuità col passato, se l’entusiasmo di ieri sera fuori dai seggi riuscirà a protrarsi nel tempo con azioni significative.
Di certo per ora sappiamo che Facebook è stato scenario di zuffe indegne che ci auguriamo di non veder replicate in altre simili occasioni, che gli spunti di riflessione ed analisi su tutti i fronti certo non mancano e che via via, nei prossimi giorni, proveremo ad affrontarli ed analizzarli, anche parlandone con i protagonisti stessi.