Riceviamo e pubblichiamo
Sono trascorsi diversi anni da quando, girando nei dintorni di Tarquinia, per l’occasione della “Pasquetta”, si capitava anche dalle parti delle “cascatelle della cartiera”, vicino a quell’isolotto ormai eroso dove si cavava la sabbia. Giorni fa ci siamo ritornati. Non per un sopralluogo da scampagnata ma per andare a dare un’occhiata da vicino al cantiere dove si stanno costruendo le due centraline idroelettriche, tra gli “oggetti” dei recenti fatti di cronaca nazionale, e le condizioni dell’area fluviale in genere.
Appena arrivati, anche se l’area dovrebbe essere di proprietà demaniale, abbiano trovato sbarrata la strada per andare alle cascatelle; per arrivare al fiume siamo dovuti passare in uno stretto sentiero che costeggia la recinzione che delimita il cantiere dove stanno costruendo le centrali.
La cosa che comunque più ci ha sconcertato, una volta raggiunto il limite dell’argine del fiume, è vedere la dimensione e l’ingombro delle opere che sono state realizzate; infatti oltre a quanto è visibile dalla strada provinciale ossia le costruzioni dei locali turbine, nella sponda destra del fiume è stata innalzata una scogliera realizzata con grossi massi dove è inserita una struttura di cemento che ingloba un grosso tubo che, al momento, è asciutto; immaginiamo che quel tubo serva a scaricare l’acqua una volta passata ad alimentare il moto delle turbine.
Vedendo questi importanti lavori effettuati in un punto del Fiume Marta che è notoriamente uno dei più fragili dal punto di vista idraulico, ci domandiamo: cosa potrebbe succedere in quest’area qualora si verificassero ancora eventi di piena della portata del 1987 o del 2005?
Noi, il momento della massima piena del fiume nell’evento del 2005 lo abbiamo visto di notte e con i nostri occhi, fari alla mano, proprio lì vicino ed era di una furia spaventosa. Ci domandiamo se i progettisti di queste nuove opere siano stati debitamente informati dalle autorità competenti in quale area sono andati a piazzare i manufatti e di quali dimensioni e violenza siano le periodiche piene del fiume Marta.
Durante la breve passeggiata abbiamo anche notato le condizioni dello sbarramento delle “cascatelle” e le abbiamo trovate ben diverse da come le ricordavamo. Le superfici per lo scivolamento dell’acqua sono così erose da mostrare i sassi della muratura semi-divelti e sconnessi, tanto da sembrare denti che spuntano dal sottosuolo; la saracinesca per far defluire i fanghi di sedimentazione del fondo della diga evidenzia un tale stato di degrado da lasciar supporre che non sia più stata usata da anni; il limite di sfioro delle acque del bacino è sbrecciato in più punti.
Lo stato di abbandono dell’opera, pressoché totale, mette in chiara evidenza che l’amministrazione non ha tenuto – mai – in nessun conto la sincera volontà di recuperare il sito e attivare, con tecnologie aggiornate e ottimizzate al massimo sfruttamento, in proprio o in concessione, la potenzialità idroelettrica del bacino a monte delle “cascatelle” potendo garantire, tra l’altro, maggiore sicurezza a fronte di eventi di piena e, ultima ma non ultima, la memoria storica dei luoghi.
Ci chiediamo infine, augurandoci che nulla di ciò che abbiamo visto sia causa di futuri problemi per il territorio e la popolazione, nel caso di eventi alluvionali importanti come li abbiamo conosciuti, di chi sarebbero le responsabilità? Di Giove pluvio, presidente delle nubi?
Isabella Alessandrucci