di Stefano Tienforti
“Ci sono mattine in cui mi sveglio con poca voglia, pare quasi non mi andrebbe di venire. Poi metto piede in farmacia ed è come se mi accendessi, come se qua dentro ci fosse una droga che mi dà energia!”: ci sono storie che, raccontando la vita di una città, fa piacere – anzi fa bene! – scrivere. Storie che, in maniera forse più efficace che la cronaca o gli eventi, lasciano sulle pagine, anche virtuali, di un giornale la traccia della vita di una comunità, dei suoi cambiamenti e dei suoi punti di riferimento.
Il protagonista di quelle di oggi è Virginio De Angelis, che il 2 gennaio ha celebrato delle vere e proprie Nozze d’Oro: una storia lunga 50 anni iniziata il 2 gennaio 1973, quando per la prima volta varcava le porte della Farmacia del Corso da titolare.
“Che sensazione ho provato, celebrando la ricorrenza? Che mi sono invecchiato! – scherza Virginio – Ma sento dentro la stessa voglia di fare che avevo cinquanta anni fa. Questa professione mi è sempre piaciuta, mi dà voglia, mi fa star bene: insomma, qui dentro mi sento giovane!”
Tutto inizia quando Virginio lavorava in una farmacia di Roma, zona Piper, dove faceva anche l’orario notturno (“ho servito anche personaggi famosi, da Patti Pravo a Garinei, ma qualche volta ho preso spaventi veri, lavorando la notte!”).
“Poi il dottor Spurio – racconta – che aveva la Farmacia del Corso, mi chiese di gestirla. In fondo, sarei stato a un passo da casa, per cui chiesi a mio padre i soldi per rilevare l’inventario e presi inizialmente la gestione, per poi acquistarla piano piano, quindi ingrandirla e continuare il percorso che ci porta a oggi”.
“Di certo, da allora, ho lavorato tanto, tantissimo. Ho dato tutto per questo posto. Mia moglie, che mi critica spesso su tutto, mi dice sempre che sul lavoro non c’è nulla da dirmi: sono stato sempre presente, lasciando questa porta sempre aperta a tutti, essendo reperibile anche di notte, quando è servito o serve, ora, con la ZTL, anche consegnando le bombole d’ossigeno a chi non può entrare. E sempre rispettando tutti: spero la gente mi voglia bene per questo”.
“Questo è stato il mio motto: rispettare sempre le persone, anche se arroganti o presuntuose, anche se oggi tutti noi, con internet, pensiamo di essere costantemente aggiornati. E se questi 50 anni sono volati e sono ancora qui è perché amo la professione fatta in questo modo, con la farmacia che nel tempo è diventata un punto d’incontro, quasi un centro salutistico”.
Da questo punto di vista, gli anni del Covid sono stati un esame importante. “Questi ultimi anni sono stati l’esperienza più grande. Se ci pensi, le farmacie erano le uniche porte della salute aperte, soprattutto nel periodo più duro: ospedali chiusi, limitazioni ovunque, per cui qui da noi abbiamo visto di tutto, aiutato le persone non solo nella battaglia per il Covid, ma anche per tutte quelle piccole patologie che faticavano a trovare risposta altrove. In pratica, abbiamo messo in pratica l’esperienza maturata in tanti anni certo non per sostituirci ai medici, ma per aiutare dove serviva: perché conoscere bene un farmaco, sapere quando e come applicarlo, è una conoscenza preziosa e utilissima. E avere, oggi, una farmacia che è un punto di riferimento per le persone è il mio premio!”.
C’è un tratto tuo caratteristico che hai trasmesso alla Farmacia e, di conseguenza, a chi la vive? “La voglia del contatto con il cliente, in un ruolo divenuto, come dicevamo, quasi sociale: in fondo, in una realtà come Tarquinia, ci conosciamo più o meno tutti, e se qualcuno ha avuto bisogno di un aiuto o ha chiesto qualcosa, ho sempre cercato di fare quello che posso. In fondo si è un po’ spersonalizzato il ruolo del commerciante e ho sempre pensato, prima di tutto, che chi mi cerca per chiedere aiuto o sostegno ha un problema più del mio. Allora guardo tutti negli occhi, perché da lì si legge ogni tipo di difficoltà, per capire le persone. E spesso serve di essere anche un po’ psicologi, perché capita chi ha poco e teme di avere tanto e, in questi casi, basta una parola per rassicurare più di qualsiasi farmaco”.
“E poi, posso dirlo, ho avuto davvero il “culo” di avere colleghi bravi. Anche adesso, i dipendenti che ho sono bravissimi e io, da scorbutico quale sono, insegno loro tanto, soprattutto su ordine, precisione e rispetto. Ma sono davvero tutti molto preparati, e con grande voglia di lavorare: che poi magari ce l’hanno perché stanno bene qua! Il segreto? Metterli a loro agio e farli lavorare in un clima sereno”.
In questi cinquant’anni, come hai visto cambiare questa città? “Ho servito due generazioni di tarquiniesi e quello che noto di più è che sicuramente è aumentata la cultura, anche se a volte scade in presunzione. La città è cambiata, ma è cambiato il mondo: ci sono più esigenze, la gente sa di più e pretende di più: il segreto è porsi bene, rende le persone più disponibili. Però una proposta per questa città ce l’ho: ragioniamo sull’istituire una sorta di patrimonio cittadino, da tutelare in qualche modo. Pensa a questa farmacia: ha 200 anni, così come i mobili al suo interno: se dovesse dopo di me finire nelle mani di qualcuno che voglia stravolgere questo posto, si perderebbe una fetta di storia della città. E questo vale per altri posti”.
E dopo questo traguardo, lo sguardo dove si volge? “L’obiettivo? Fare altri cinque anni, almeno. Poi c’è già mia nipote, che è bravissima, così come tutti i ragazzi. Lo sai? Sono contento quando cercano loro e non me: è il segnale che ho seminato bene, che ho dato loro quello che serviva”.