(a.f.) Una scoperta che potrebbe potenzialmente ribaltare le interpretazioni sinora elaborate sulla presenza della civiltà etrusca a Tarquinia. Una sorta di “fulmine a ciel sereno”, che sposta l’asse anche geografico della ricerca archeologica sul territorio della città, abbattutosi sugli esperti all’incirca lo scorso Natale e che oggi inizia a trovare le prime conferme anche dal punto di vista storico scientifico.
Una necropoli di dimensioni tanto ampie da non garantire ancora un quadro chiaro della propria estensione potrebbe svilupparsi in una zona del tutto inaspettata, quella della valle del Mignone: è questo il primo, sommario risultato degli studi che hanno fatto seguito alla scoperta, del tutto casuale, di una grossa camera affrescata alla metà dello scorso dicembre, sul terreno di un’azienda privata in località Molette, a poca distanza da dove tratto autostradale scavalca il fiume Mignone.
Nell’inverno scorso, infatti, i proprietari del terreno – sin qui destinato all’uso dell’azienda agricola – hanno pensato di intraprendere degli studi sul sottosuolo con dei carotaggi non a fine di scoperta archeologica, ma per sondare l’opportunità di sfruttare le proprietà del calore degli strati terrestri e di eventuali fonti di acqua termale, come nella non lontanissima località civitavecchiese della Ficoncella.
Ma proprio in quest’occasione sono emersi risultati sorprendenti che hanno stoppato l’opzione termale e attivato le antenne di studiosi e archeologi: le opere hanno infatti portato a galla una camera sepolcrale affrescata, e ulteriori, successivi quanto preliminari studi con tecnologie aeree lascerebbero intendere la presenza di numerose tombe di varia dimensione.
Contattati, i proprietari dell’area non hanno confermato nulla, ma si sommano le voci popolari sulla scoperta. I più estrosi, fra l’altro, si spingono oltre, trovando similitudini tra questa scoperta sepolcrale a due passi dal Mignone e un caso quasi leggendario, quello della tomba del re dei Visigoti, Alarico, che, dopo il sacco di Roma, si ammalò e morì nei pressi di Cosenza. Qui fu sepolto assieme ai suoi tesori nel letto del fiume Busento, che per l’occasione fu deviato dal suo corso tramite un complesso lavoro di ingegneria idraulica e sfruttando il lavoro di centinaia di schiavi. Somiglianza affascinante ma, almeno per ora, non del tutto calzante: il sepolcro non presenterebbe particolari tesori al suo interno, anche se pare sia affrescato con raffigurazioni ben conservate e ricche di spunti: oltre a splendide scene naturalistiche – si parla, in particolare, di un grande pesce, forse in omaggio al fiume che scorre poco lontano, oltre che di immagini e icone curiose e “innovative” rispetto alla produzione etrusca sin qui conosciuta.