di Stefano Tienforti
Iniziamo con la notizia nuda e cruda: Namo Ristobottega di Tarquinia è sulla guida Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso, edizione 2021, inserita nella sezione bistrot e segnalata con una cocotte, simbolo che da uno a tre identifica la valutazione che la guida fa della specifica categoria.
Ieri, perciò, sono corso a intervistare Tiziana (Favi, la chef di Namo), Hassan (Ismail Gafar, chef pure lui, che da anni lavora al suo fianco anche se, di anni, ne ha compiuti ventuno solo l’altroieri) e Marcello, marito di Tiziana, che pur da “esterno” tanto contribuisce all’anima del locale.
E abbiamo iniziato a parlare di storie, soddisfazioni, obiettivi, futuro. Cioè quello che faccio con loro quasi tutte le volte, e non sono poche, in cui mi siedo a tavola (per lo più per mangiare il pacchero con la stracciatella) o mi appoggio al bancone, quasi sempre con una coppa di zabaione che mi arriva davanti entro due minuti.
Così, mentre chiacchieravamo, ho capito che stavolta più che far raccontare loro avevo voglia di raccontarli io. E la prima cosa che mi è girata in testa non è di parlare dei piatti e di come si mangia da Tiziana e Hassan. A quello ci pensa Gambero Rosso (qui affianco trovate il trafiletto con la descrizione che ne fa la guida), o il fatto che siano entrambi Cuochi dell’Alleanza Slow Food, se proprio non basti il fatto che ho già detto che mangio da loro tutte le volte che posso.
A me, oggi, va invece di raccontare la “famiglia” Namo. Che secondo me poi spiega tutto, anche il gusto dei piatti che escono dalla cucina o la filosofia che fa da filo conduttore. Perché l’idea di “slow” che in ambito ristorativo si lega alla difesa e tutela delle identità culturali legate alle tradizioni alimentari e gastronomiche da Namo supera il limite dei fornelli e scorre tra i tavoli. Nei sorrisi e nel rapporto con i clienti, nella passione che non è solo quella dell’offrire una bella esperienza di gusto, ma di far germogliare un contatto con i visitatori. Perché sì, l’idea di scegliere materie prime del territorio, selezionarne la provenienza, sperimentare per valorizzarle al meglio è certo una scelta commerciale, ma soprattutto una conseguenza. Che nasce dal voler trattare le persone sedute a tavola non come clienti, ma come ospiti nel salotto di casa.
La notizia della segnalazione sulla guida, che segue di un giorno quella della conferma di Francesca Castignani e Belle Hélène come riferimento nazionale nell’ambito della pasticceria, regala a Tarquinia un sorriso in un periodo cupo e lascia ben sperare in vista di un ritorno alla normalità sociale che manca da troppo e che tutti speriamo di poter recuperare presto.
In comune, le due realtà, che in passato non hanno mancato di stringere intriganti collaborazioni, hanno l’attenzione per la qualità e il coraggio di difenderla a tutti i costi, anche di fronte a uno scetticismo iniziale che via via si è diradato.
Tarquinia come città dell’ospitalità è un bel modo di immaginare il futuro dopo il Covid, perché oltre a torte e cocotte ci sono tante realtà che stanno lavorando bene, con passione per il proprio lavoro e un entusiasmo che nonostante tutto non ha smesso di bruciare, pur sotto lo strato di cenere steso dalla pandemia. Iniziare a raccontare anche questo, della città, oltre al mare, le tombe etrusche e il museo è una opportunità importante, guardando a un mondo in cui inevitabilmente tendenze e abitudini non saranno le stesse di prima e che, per questo, di opportunità e occasioni finirà per concederne di più.