Riceviamo da Semi di Pace e pubblichiamo
“Lo Stato mi considera una “vittima di mafia”: ma la vera vittima non è chi resiste da trent’anni alla richiesta del pizzo! Vittima è chi il pizzo lo paga!” Con queste parole Tiberio Bentivoglio ha iniziato il suo intervento di fronte ad un folto pubblico convenuto giovedì 16 marzo alla Cittadella di Semi di Pace. L’incontro si era aperto con i saluti del presidente di Semi di Pace Luca Bondi, della sig.ra Adriana Sabbatini per Anpi Tarquinia, di Marco Genovese per l’associazione Libera e della prof. Cinzia Brandi per la Rete di scuole “G. Falcone”.
Tiberio Bentivoglio ha poi proseguito raccontando la sua vita e quella di sua moglie Enza come un incessante risollevarsi e ripartire dopo ogni attentato incendiario, ogni bomba, ogni distruzione della loro attività a Reggio Calabria; fino al tentativo di omicidio a cui è scampato per un soffio. Mentre subiva tutto ciò, i clienti del negozio e chi prima gli era amico gli hanno voltato le spalle. A fronte di perdite crescenti e di una situazione economica che avrebbe meritato l’aiuto dello Stato, sono invece arrivate le cartelle di Equitalia. Solo l’incontro con don Luigi Ciotti dell’associazione Libera ha tolto Bentivoglio dall’isolamento in cui era caduto. Da quel momento è iniziata una nuova fase: gli è stato attribuito un locale confiscato in cui aprire un nuovo negozio e ricominciare di nuovo, nonostante le mille difficoltà, i processi ancora aperti e le inerzie della burocrazia di Stato.
Dopo Tiberio Bentivoglio ha preso la parola Gianpiero Cioffredi, fino a pochi giorni fa presidente dell’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità del Lazio; a lui il compito di illustrare l’incidenza del fenomeno mafioso nella regione e in particolare nel viterbese, da sempre terra di transito di affari illeciti e rifugio di latitanti ma oggi scenario di imponenti investimenti e riciclaggio di capitali. Le attività maggiormente coinvolte, oltre all’usura e all’illecito smaltimento di rifiuti, sono quelle della movimentazione di inerti e le attività del terziario come turismo e balneazione. Inoltre, sono numerosi i beni confiscati alle mafie nel quadrante nord della regione; solo a Tarquinia ve ne sono 13, per i quali a tutt’oggi il Comune non ha espletato le procedure di affidamento, dunque non sono ancora disponibili per scopi sociali.
E’ intervenuta anche la segretaria nazionale dell’associazione “Caponnetto”, Simona Ricotti, ricordando che l’alto Lazio, come attesta l’operazione Erostrato del 2019, ha espresso un’associazione criminale ai sensi dell’art. 416 bis e che gli enormi interessi economici legati alla presenza del porto di Civitavecchia rendono indispensabile un controllo vigile e un’assunzione di responsabilità da parte di tutti.
Non bisogna sottovalutare la situazione o delegare soltanto alla magistratura e alle Forze dell’ordine il compito di contrastare la diffusione del metodo mafioso – ha chiosato Cinzia Brandi. C’è un ampio spazio per il protagonismo della società civile, a cui spetta innanzitutto combattere l’indifferenza e la rassegnazione verso questi fenomeni, che molti considerano quasi ineluttabili. Per questo i promotori dell’incontro hanno iniziato a raccogliere le adesioni per un Coordinamento Civico contro le mafie nell’Alto Lazio.