Pubblichiamo come contributo la risposta di Anna Alfieri al commento dell’amico Piero Nussio a coda del precedente articolo “Il fratello tarquiniese di Muammar Gheddafi”, anch’esso a firma della nostra redattrice.
Caro Piero,
forse hai colpito nel giusto. Perché, tra tutte le stranissime notizie contenute nel mio articolo sul nostro incredibile compaesano Saverio Ciaffi che diceva di essere il fratello di Muhammar Gheddafi e anche il figlio di un principe russo, l’unica verosimile è quella che a prima vista mi era sembrata la più delirante: l’esistenza di alcune imprecisate terre tarquiniesi che, con il consenso del Vaticano, sarebbero invece appartenute segretamente agli Zar. Infatti nei secoli scorsi molti – anzi moltissimi – territori cornetani erano proprietà della Chiesa di Roma. Si trattava di ricchi appezzamenti che la Santa Sede, attraverso la Reverenda Camera Apostolica, affittava o addirittura concedeva in fide commisso perpetuo a chi degnamente ne avesse fatto nobile richiesta. Per esempio ai Bruschi Falgari. Ciò non escluderebbe del tutto che alcune nostre belle tenute agricole fossero state effettivamente cedute, per i “napoleonici” motivi che tu adduci, – ricordiamoci della Santa Alleanza – anche agli Zar, attraverso alcuni prestanome molto diplomatici.
Del resto il Vaticano, che ha ancora a sua disposizione il più grande patrimonio immobiliare del mondo, oggi gestisce liberamente il 20% di tutti gli immobili italiani e il 25% di quelli romani, attraverso l’APSA, Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica.
Detto questo, caro Piero, tengo a precisare che, attratta dall’articolo del professor Spinelli sul fantasioso signor Ciaffi, prima di darne notizia su L’extra, ho saggiamente fatto alcune indagini personali per trovare quache punto fermo nella vita famigliare e quotidiana del nostro vecchio concittadino.
Ma: a) l’Archivio Storico non ha trovato alcun riferimento alle famiglie Ciaffi e Taffi che, essendo forse molto modeste, non compirono mai azioni tanto eclatanti da essere tramandate ai posteri; b) nessuna persona da me intervistata era abbastanza anziana per avere memoria storica dei cognomi prospettati; c) l’Ufficio Anagrafe del Comune di Tarquinia, l’unico che avrebbe potuto definitivamente dipanare ogni garbuglio, non mi ha concesso il permesso, motivatamente richiesto per iscritto, di consultare i suoi registri meno recenti.
In compenso, per completezza di informazione, ti rivelo che, a mio spericolatissimo avviso, l’unico Romanov che avrebbe potuto essere il padre di Valerio alias Dimitri Kirillovic, (Kirillovic significa figlio di Kiril), era un nipote dello Zar Alessandro II e quindi anche cugino di quel Nicola Romanov che nel 1918 fu trucidato dai bolscevichi. Si tratterebbe del Granduca di Russia Kiril Vladimirovic Romanov che, come raccontava molto confusamente anche Valerio, combatté realmente nella guerra russo-giapponese in qualità di primo ufficiale della corazzata Petropavlosk; che fu realmente ferito a Port Arthur nell’aprile del 1904 e che, successivamente, condusse una vita molto avventurosa. Tanto avventurosa che, volando un po’ con la fantasia, avrebbe potuto “cronologicamente” anche essere il presunto padre del nostro concittadino e perfino quello di Anna Magnani. Non però, aggiungo io, di Muammar Gheddafi che nacque nel 1942, quando l’intraprendente nobile russo era già morto da quattro anni, credo in Francia, nel 1938.
Tutto il resto – e spero che i lettori se ne siano accorti – è stato l’estiva, divertente ma doverosa divulgazione di una intrigante leggenda metropolitana che ci riguarda da vicino e un mio personale atto di simpatia per il buon vecchio Valerio che sognò per tutta la vita di non chiamarsi banalmente Ciaffi ma Romanov, e di essere il fratello maggiore del Rais di tutte le Libie. Al quale, per estremo patriottismo paesano, attribuì perfino il cognome tarquiniese dei Taffi. Cioè Ghe-Taffi, Gheddafi. E non è poco. Ciao
Anna Alfieri