Riceviamo dal Duomo di Tarquinia e dall’Ufficio per i Beni Culturali della Diocesi di Civitavecchia-Tarquinia e pubblichiamo
Il maestoso organo del Duomo di Tarquinia, il più grande tra gli organi storici della provincia, tornerà al suo antico splendore e alla sua originaria potenza espressiva. È iniziato un lungo e laborioso intervento di restauro commissionato dalla Diocesi di Civitavecchia-Tarquinia che, dopo quasi un secolo e mezzo dalla costruzione, consentirà di ripristinare tutta la forza e la ricchezza musicale straordinaria di uno strumento che l’usura e la patina del tempo avevano offuscato e quasi dimezzato.
L’organo è l’opera prima di Nicola Morettini di Perugia, membro una famiglia di organari che operò per circa un secolo in tutto il centro Italia, realizzando circa 350 strumenti. L’ incarico assunto da Nicola Morettini il 5 dicembre del 1877 venne completato nel 1879, nell’ambito dei radicali lavori di restauro della chiesa, realizzati su progetto di Francesco Dasti. Quando Nicola firmò il contratto con il Capitolo del Duomo, si era appena spento suo padre Angelo, il quale fece appena in tempo a imbarcare il suo ultimo, grandioso organo a tre tastiere destinato a Santiago del Cile, a testimonianza di quanto fosse apprezzata l’arte organaria italiana anche oltreoceano. Nell’opera tarquiniese d’esordio di Morettini figlio si incontrano la tradizione italiana del padre e l’innovazione, che guardava già ai grandi organi francesi. Nicola, che aveva superato la soglia dei quarant’anni, aveva già un bagaglio di esperienza tale da poter lavorare autonomamente e lo dimostrò proprio con il magnifico organo a due tastiere e trentacinque registri del duomo di Tarquinia, completo sotto tutti i punti di vista e degno dei migliori lavori del padre. Si tratta di un prototipo che segnerà un’evoluzione nel mondo dell’organaria italiana, sia per la modernità dell’impianto fonico che per le ragguardevoli dimensioni, date anche dalla presenza di una seconda tastiera e dall’estensione della pedaliera, caratteristiche mutuate dalla scuola francese.
Tutto questo è ora sotto le mani sapienti di esperti. Le oltre mille canne, i somieri, il mantice dell’organo sono stati infatti accuratamente smontati e nei prossimi mesi saranno sottoposti a un certosino lavoro di restauro. Saranno restaurati e riutilizzati tutti i particolari, anche minimi, limitando sostituzioni, ritocchi, reintegrazioni ai soli casi di effettiva necessità. Particolare cura sarà posta nella conservazione delle patine e finiture superficiali, tanto dei legni quanto dei metalli, quali elementi indispensabili per una corretta lettura dello strumento. Le integrazioni saranno realizzate con tecniche identiche a quelle utilizzate nel manufatto d’origine con ricorso quindi a piallatura manuale dei legni, getto su tela o sabbia e piallatura manuale e martellatura o trafilatura delle lastre per le canne, forgiatura dei metalli, con l’utilizzo di materiali tradizionali quali colle animali, pelli conciate all’allume di rocca, terre e pigmenti. L’intervento, oltre a restituire il sofisticato apparecchio nelle sue migliori condizioni di efficienza e integrità, tenderà a fornire un’esaustiva e particolareggiata lettura oltre che dello strumento stesso, anche degli interventi dallo stesso subiti nel tempo.
Serviranno, dunque, parecchi mesi prima di ascoltare nuovamente la voce dell’organo del Duomo di Tarquinia. Ma l’attesa sarà sicuramente ripagata dal ritorno al primigenio splendore di uno strumento eccezionale.