di Luciano Marziano
In un recente incontro triestino dedicato alla tutela del territorio che corre il rischio di essere devastato da interventi speculativi, l’insigne archeologo Andrea Carandini, quale nuovo Presidente del FAI (Fondo Ambiente Italiano), ha presentato una relazione incentrata sul paesaggio. Configurandolo quale guscio protettivo di identità e patrimoni comuni, il relatore sottolinea come il paesaggio, così come viene tramandato, è il risultato di una stratificazione storica a valenza culturale, cioè prodotto dell’uomo; alla sua realizzazione hanno contribuito, di volta in volta, il singolo e la collettività. La combinazione di necessità e ideazione si raccorda nel fluire identitario della tradizione che è memoria anche di strutture siano esse urbane, rurali, di coltivazioni. Anche nella costruzione, nella umanizzazione del paesaggio si riversa la primaria istanza dell’uomo di utilizzare tecniche e modulazioni che vengono definite arte al fine di raggiungere un soddisfacente risultato produttivo che salvaguardi un’immagine esteticamente congrua. Del resto, i medievali ortolani cornetani chiamavano la loro attività arte le cui norme erano consacrate in uno Statuto che regolamentava le molteplici incombenze derivanti dal rapporto con la terra.
Dice Carandini che “nei contesti paesaggistici tutto è solido e stabile, frutto dell’instancabile sovrapporsi di azioni umane, ritocchi infiniti ad un medesimo quadro, di cui l’iconografia principale si preserva, per cui tutto muta nell’infinitesimo e al tempo stesso poco cambia nell’ampio insieme”. Questo percorso che presenta ritmi omologhi a quelli della natura, ha subito una rottura anche con l’immissione dei mezzi meccanici ove non impiegati con razionalità . Pertanto, “abbiamo cominciato a trattare arbitrariamente i paesaggi… con lo spadroneggiare dei poteri speculativi per cui pochi, con vantaggio per pochi, hanno disfatto il ricamo terrestre tradizionale che nel suo insieme appartiene a tutti, perché tutti in quel luogo hanno avuto progenitori che hanno inserito la loro tessera in quel mosaico già perfetto che ormai qui si sbriciola e là si rovina”. Di conseguenza, è urgente e indilazionabile che “i paesaggi delle nostre città e delle nostre campagne debbono essere preservati in quanto nostri beni più preziosi, riassunti estesi e materiali dell’umanità trascorsa, in perenne dialogo con noi viventi”.
In proposito, si vuol fare riferimento a due esemplificazioni una delle quali sotto la quotidianità del nostro sguardo . Mi riferisco, da una parte, al paesaggio tarquiniese – inserito in quel quadro ambientale che il concittadino scrittore Maurizio Brunori ha definito “tessuto resistente” – il cui buon livello di integrità consente di cogliere il grande respiro della terra; dall’altra, al devastato non più paesaggio di talune zone del Sud e del Nordest d’Italia , dove la speculazione edilizia, il mito produttivo ad ogni costo, venato da un perverso ricatto occupazionale, hanno, forse irrimediabilmente, distrutto un territorio in passato gentile.
Il testo di riferimento è stato pubblicato sul Domenicale de Il Sole 24 ore del 14.04.13 con il seguente titolo: A.Carandini, Paesaggio, guscio del Bel Paese.