di Stefano Tienforti
In giorni in cui media ci parlano di politica come se fosse l’ultima spiaggia della sopravvivenza nazionale, alleggeriamo un po’ i toni scoprendo come – per propria volontà o per obbligo – a volte le pubbliche amministrazioni si trovino a confrontarsi con questioni tra il marginale ed il grottesco.
Ad esempio, stamani ci fanno sapere da Viterbo che la carrozza esposta a Palazzo dei Priori non sarà trasferita a Piacenza, in quella che sembrava dover essere essere un’operazione di marketing territoriale. Il problema è che, su questo fronte, nel capoluogo si è discusso per una settimana, con interventi da parte di politici su ogni fronte. Ben inteso, la difesa di un patrimonio cittadino è sempre attività meritoria, a livello sociale e politico: resta da capire a chi fosse balenata in testa l’idea di un trasferimento che – proprio dal punto di vista del marketing – non avrebbe avuto alcun senso, tanto che alla fine l’operazione somigliava a quella di chi ha in casa un regalo vecchio che non gli piace e prova a riciclarlo al primo matrimonio utile solo per non averlo più nel ripostiglio.
Ancor più atipica – ma almeno non voluta né cercata – è, invece, la situazione con cui si deve confrontare il Comune di Tarquinia che – stando a quanto riportato in una delibera dello scorso 31 dicembre – deve difendersi in giudizio a seguito di una “presunta sparizione di salma, bara e tomba”. Una circostanza quantomeno particolare, così come lo fu la vicenda che un paio di anni fa rese il sindaco Mazzola responsabile della custodia di un branco di pecore: il proprietario era impossibilitato ad occuparsene per problemi giudiziari ed un’ordinanza fece trovare sulle spalle del sindaco l’inusuale incombenza.