Volentieri riproponiamo oggi un contributo di Anna Alfieri datato 31 luglio 2015.
Il Palazzo Comunale di Tarquinia presenta in modo esemplare le tre caratteristiche tipiche del Comune medievale italiano: l’arco della mercanzia sotto il quale si svolgevano a riparo delle intemperie i commerci quotidiani, la spettacolare scalinata costituita da 53 ripidi gradoni e la Loggia che era anche l’arengo che portava alla Camera dove si tenevano le riunioni consiliari e introduceva agli ambienti della Cancelleria. Sulla loggia e sulle scale si stipulavano i contratti privati. Quelli pubblici si stendevano formalmente nella Camera e nelle stanze ad essa adiacenti, dove i notai ed i cancellieri redigevano e trascrivevano instancabilmente verbali, atti e contratti.
Uno di questi ambienti, che nello scorrere dei secoli fu adibito ora a Cancelleria, ora a Sala Consiliare, ora ad emblematico atrio di rappresentanza, oggi è noto come Sala degli Affreschi.
Gli affreschi di questo emozionante salone celebrano, tramite il ricordo di eventi mitologici e storici, la nobiltà di Corneto, città primigenia, madre di Roma, sua fedele paladina e sua protettrice grazoe alle imprese guerresche del Cardinale Vitelleschi.
Accanto alla grande storia che attraversa i millenni, le pitture del Palazzo raccontano anche una storia più piccola, quasi una cronaca, fatta di committenze e pagamenti, di incomprensioni, di ripicche, di ripensamenti e di drammi, minutamente documentati nelle raccolte degli Speculi , dei Mandati e dei Consigli conservati nell’Archivio storico della nostra città.
Le vicende degli “abbellimenti” iniziarono nel 1598, ma trovarono concretezza solo quando tre notabili cornetani, Fabio Fani, Pietro Cappetta e Baldassarre Latini, si impegnarono a sostenerne le spese in cambio dell’appalto cittadino di Macelleria. L’incarico fu affidato a Camillo Donati, capriccioso pittore maceratese, residente in Ronciglione che lavorò fin quasi alla fine di marzo del 1631 insieme al suo aiutante Domenico Taddei. Poi all’improvviso, abbandonò tutto e se ne andò.
Invano i Cornetani lo implorarono di fenire quella facciata che aveva lasciata imperfetta; e invano lo assicurarono che, se fosse tornato sarebbe stato trattato bene et accarezzato da tutti universalmente e che volentieri gli avrebbero baciato le mani.
Inutilmente – loro che avevano a lungo sparlato di lui e della sua sfacciata lentezza operativa – ammisero che mai se sia voluto dare l’incarico ad altro pittore, mai noi gli haveriamo fatto questo torto e inutilmente gli scrissero più volte: Vogliamo che solo lei fenischa e non altro. Venghi quanto prima allegramente et haverà tutte le soddisfazioni che lei desidera.
Il “Signor Camillo, puntiglioso pittore marchigiano ormai residente in Ronciglione, non tornò più.
I lavori vennero successivamente affidati a Giulio Giusti di Montefiascone che, al contrario dell’artista precedente, era bono et non lavattivo e furono pagati, nel 1636, con 45 scudi. Ma qui si inserisce il dramma che commosse l’intera città. Il denaro, che sarebbe stato consegnato al Giusti, in realtà era stato destinato dalla comunità al pagamento degli studi di Giulio Martellacci (i cui sospiri sembrano ancora oggi dolorosamente alitare tra le figure che affollano le pareti municipali), un promettente giovane di intelligenza chiara e speciale, che purtroppo, per poca fortuna seguita alla sua infermità, morì precocemente.
Alla sua scomparsa, con 18 voti favorevoli e 2 contrari, fu deliberato che la somma raccolta venisse applicata in beneficio del Palazzo per fenire la pittura della Sala.
Con il tempo gli affreschi furono offuscati dalla polvere e devastati da oziosi che avevano prodotto guasti e mutilazioni. Perciò molto presto cominciò una serie di ritocchi, di ripuliture e di restauri.
Nel 1734, Mattia Gerardini ridipinse alcuni particolari e Lazzaro Nardeschi provvide ai cartigli con le iscrizioni esplicative degli avvenimenti rappresentati. Nel 1790, Luigi Tedeschi intervenne nuovamente sulle pitture e altrettanto fece nel 1798, Luigi Dell’Era. La caduta di un fulmine impose, nel 1824, ulteriori interventi e altri ritocchi furono eseguiti tra il 1980 e il 1981.
Gli affreschi sono ora chiaramente leggibili grazie all’opera di Roberto Ercolani e Vittorio Cesetti che li hanno restaurati nel periodo che va dal 1994 al 1996.