I recenti annunci di provvedimenti e “riforme” del ministro Franceschini, in tema di “gestione dei Beni Culturali” hanno suscitato, nel mondo accademico ma anche in quello politico, reazioni di varia natura. Per quanto riguarda la nostra città si evidenzia l’intervento del sindaco Mazzola che, da par suo, è calato sulla questione della soppressione della “Soprintendenza dell’Etruria Meridionale” con un’invettiva che prende le mosse da questa premessa “Abolire la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale in nome della spending review, o della riorganizzazione del Ministero dei Beni culturali, vuol dire cancellare lo straordinario patrimonio archeologico di Tarquinia e del Lazio settentrionale” (qui).
Sarebbe già sufficiente analizzare questa frase per mettere a nudo tutta la pochezza e la strumentalità di certe prese di posizione evidenziando, ad esempio, l’illogica similitudine tra l’abolizione dell’istituzione (struttura immateriale) e il patrimonio archeologico (beni materiali). Tale similitudine, qualora sortisse i devastanti effetti che paventa, lascerebbe immaginare che il ministro Franceschini abbia pianificato e disposto una demolizione massiccia di musei, necropoli e reperti vari. La realtà dei fatti, invece e drammaticamente, ci narra tutt’altre vicende che non depongono a favore del mantenimento dello status quo tra immobilismo e potere.
Valgono ancora, a sottolineare l’interesse meramente strumentale per le sorti dei beni archeologici, le dichiarazioni del sindaco Mazzola, a cui fanno eco quelle della civitavecchiese on. Marta Grande (M5S), con cui si esaltano “i grandi successi ottenuti, sintetizzati dal numero di visitatori raggiunto nel 2013, circa 330mila, da quello che a tutti gli effetti si può considerare il Polo Espositivo Etrusco”. Bene! Se, e ribadisco – se – (cit.) secondo gli “illustri” oppositori del provvedimento del ministro Franceschini, contare 330.000 (trecentotrentamila) visitatori per un ipotetico – e non meglio definito né nell’estensione né nell’istituzione – “Polo Espositivo Etrusco” fornisce motivazioni per sottolineare i grandi successi” raccolti nel 2013 tramite profusione di “sinergia” “sforzi” e “collaborazioni”, siamo di fronte ad un sceneggiata che si regge solo sull’improvvisazione.
A dirlo, ovviamente, non è il sottoscritto ma i numeri. Sì, quei numeri riferiti alle presenze nei siti nazionali , visitatori paganti e non, introiti, ecc., che il MIBACT, attraverso il sito dell’Ufficio Statistica del Ministero, pubblica compiutamente, dettagliatamente ogni anno a favore di chiunque voglia informarsi sull’andamento dell’interesse verso i Beni Culturali gestiti dalla Stato. Se soltanto i “paladini dell’Etruria” sopra citati, prima di lanciarsi in sperticate difese della Soprintendenza e dei “grandi successi” conseguiti per “sinergia” in termini di visitatori, avessero aperto quel sito e consultato le tabelle ivi pubblicate, si sarebbero resi conto (forse…?) dell’enormità dell’abbaglio e della deformazione di una realtà che sono andati a rappresentare a mezzo stampa.
Per chi non avesse tempo o voglia di addentrarsi nella ricerca dei dati nelle pagine del Ministero (linkate sopra) anticipo, estrapolando qualche numero, qui di seguito.
Anno 2013 visitatori Tarquinia – necropoli 40.176 ; museo 20.990 – circuito museale 21271; Totale: 82.437
Anno 1996 visitatori Tarquinia (riuniti in unica voce) – Totale: 127.413
Anno 2013 visitatori Cerveteri – necropoli 44.185 ; museo 12.995 ; circuito museale 5024; Totale 62.204
Anno 1996 visitatori Cerveteri – necropoli 75.046 ; museo 51.500 ; Totale 126.546
Come si evince, già dalla differenza tra le cifre riferibili ad un riscontro anteriore la gemellante, e fin troppo citata, “nomina UNESCO” per i due siti etruschi, c’è una totale discrepanza tra le esaltate virtù rappresentate negli articoli e la cruda realtà dei numeri; inoltre, se il continuo e infausto chiamare in causa il “sito UNESCO” serve solo confondere l’origine dei numeri maldestramente esibiti (330.000 visitatori) accorpando per questo eventuale fine le presenze nei piccoli e piccolissimi musei – diffusi come pulviscolo nel territorio dell’Etruria meridionale – che nulla hanno a che vedere con il prestigioso riconoscimento internazionale, allora saremmo di fronte ad una mistificazione vera e propria. In ogni caso, se qualche curioso si volesse cimentare in altre ricerche potrebbe scoprire che il dato negativo delle visite che emerge dal confronto non è, in effetti, solamente un “dato secco”, ossia ascrivibile a quella sola annualità, ma è, invece, una tappa di una tendenza negativa che si è avviata con una certa continuità dopo il boom delle visite dell’anno 1986; l’anno che seguì la grande iniziativa ideata e avviata dalla Regione Toscana: il “Progetto Etruschi” (qui un documento dell’ ’85 che ne riepiloga alcuni aspetti organizzativi).
Già, proprio quella Toscana spesso nominata come modello da seguire, ovvero quella regione dove la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale non aveva competenza (!) ha fornito, a Tarquinia, una visibilità che per quell’anno valse una cifra, tra museo e necropoli, intorno ai 200.000 visitatori.
I ragionamenti sui metodi di gestione del nostro patrimonio archeologico si potrebbero inoltrare in molti altri percorsi, tutti aspri e amareggianti, irti d’ostacoli quali contraddizioni e ipocrisia, frequentati da un potere che ha come unico scopo quello di rigenerarsi e, similmente a quanto sin qui scritto, essere ancora testimonianze dell’inutilità ufficiale e diffusa.