di Anna Alfieri
Nel 1838, anno in cui perse entrambi i genitori, la sedicenne Anna Maria Bruschi Falgari diventò la fanciulla più desiderata di Corneto e ampi dintorni. Forse perché era graziosa, forse perché appariva timorata di Dio, certamente perché – ormai erede insieme a suo fratello Luca Antonio di un immenso patrimonio – risultava portatrice della dote nuziale più superba che si fosse mai vista in città o altrove.
Il primo corteggiatore al quale concesse la sua mano si chiamava Ettore Tamburini ed era il nipote del Vescovo di Narni e di Cervia. Il loro incontro, benedetto da tutti gli angeli in cielo e da tutti gli uomini di buona volontà sulla terra, era avvenuto a Roma. Ma – come racconta un documento di cui parlerò più tardi – “appena rientrata in paese la ragazza cangiò consiglio e il giovane che le era tanto piaciuto le rincrebbe, perciò tutto finì”. Poco dopo, però, accettò la proposta di matrimonio di Tito Costa, figlio di un ricco negoziante romano. E tanto lo amò che i futuri suoceri, venuti a Corneto per conoscerla meglio, vennero incantati dai suoi segni di affetto. Ma, continua il mio documento, “il cocchio che riportava gli ospiti a Roma non era ancora uscito dalle porte della città, che ella, cangiando il linguaggio, con parole beffarde rinnegò le promesse già fatte. Stessa sorte capitò al nipote del Cardinal Serafini e Sua Eminenza se ne adombrò”.
Andò meglio a Pio Consalvo Podalinj, patrizio di Recanati, che Anna Maria decise di sposare al più presto, anticipando la data delle sue nozze a mercoledì 5 maggio 1841. Quella mattina indossò l’abito nuziale di raso bianco, ricamato con fiori ‘a capriccio’, un soprabito di seta turchina ornato di ‘pizzi di blonda’ e una coroncina di nastri celesti, fiori d’arancio e piccole piume dorate. “Ma – e qui il mio documento infierisce – mentre i destrieri già nitrivano aggiogati al cocchio che doveva portare la sposa a Recanati e tutta Corneto esultava, ella, abbuiandosi e come un temporale d’inverno, non volle più recarsi all’altare”. Quel giorno stesso, però, suo fratello Luca Antonio e sua cognata Giustina dei Conti Quaglia la condussero al Monastero delle Vergini a Piazza d’Erba e lì la lasciarono nella speranza che, se per miracolo fosse diventata almeno la sposa di Nostro Signore, tutti in famiglia avrebbero vissuto una vita finalmente tranquilla. Ma il peggio doveva ancora venire.
Venti giorni più tardi, cioè il 25 di maggio, un Notaro forestiero, accompagnato dal suo cancelliere vicario, bussò proprio alla porta di quel luogo santissimo e, mentre la Badessa faceva gli onori di casa, offrendo biscotti di mandorle al cancelliere, il Notaro rapì la nostra ragazza che si fece rapire senza battere ciglio. Quel Notaro forestiero altro non era che un cornetano ben camuffato, cioè Luigi Mastelloni, lo squattrinato rampollo di una famiglia patrizia da lui stesso mandata in rovina, “il falsario di cambiali e di pagherò all’ordine, noto all’intera provincia per le sue dissolutezze e per i metodi disonestissimi di sedurre”, il tenebroso cacciatore di doti, bello e dannato, tenuto alla larga da ogni famiglia dabbene. Ma, soprattutto, Giggi era l’unico, vero, grandissimo amore proibito e segreto di Anna Maria che, grazie a quel rapimento così ben congegnato da entrambi, finalmente poté coronare il suo sogno di sposa.
Un lieto fine? Non proprio, perché pochi giorni dopo le nozze riparatrici, gli sposi novelli denunciarono i Bruschi Falgari al Tribunale civile di Civitavecchia, nella convinzione che l’enorme dote di 5000 scudi appena incassata non era adeguata al rango della sposa e, in fin dei conti, nemmeno a quello dello sposo che, in fondo, era anche lui un Patrizio Cornetano.
La difesa dei Bruschi fu assunta dall’avvocato Benedetto Blasi, la cui arringa – stampata nel 1843 in 77 pagine con il titolo Cornetana di Dote e di Consuccessione – è il documento da cui ho tratto tutte le notizie scritte fin ora, compresi i dettagli della coroncina nuziale con le piumette dorate e dei biscotti alla mandorla della Madre Badessa.
La sentenza, però, scontentò tutti: scontentò i Bruschi Falgari che dovettero aggiungere 275 scudi alla dote appena sborsata e, soprattutto, i coniugi Mastelloni che si aspettavano di incassare una somma molto ma molto più consistente.
Negli anni successivi, le fortune dei Bruschi aumentarono a dismisura, mentre quelle di Giggi svanirono di nuovo nel nulla. Per questo, sempre alla ricerca di denaro sonante, il Nostro Eroe un bel giorno provocò l’epica rissa paesana, che scambiata per un moto risorgimentale, la stampa definì La Rivolta di Corneto.
Tutto si compì il 30 giugno 1848 quando Giggi accompagnato da un ufficiale giudiziario (vero), da due carabinieri papalini (veri), quattro testimoni (falsi) e una masnada di civitavecchiesi facinorosi, irruppe in piazza del Comune dove, sventolando una cambiale di 1040 scudi (falsa) assalì il Gonfaloniere di Corneto, Domenico Boccanera. Poi, accusandolo di essere un ladro, un debitore insolvente e un disonesto, ordinò ai carabinieri di arrestarlo, anzi di ‘legarlo ben stretto’. A questo punto, un poderoso Nobiluomo locale, Benedetto Mariani, che stava vicino alla fontana, reagì da par suo e “con voce maschia e naturalmente potente, pronunciò le seguenti e precise parole: “che bricconata è questa!? Guardia Civica, popolo cornetano, accorrete a difendere il vostro Gonfaloniere!” In questo modo scatenò l’inferno. Il popolo accorse; la Civica uscì dal Municipio con le sciabole sguainate e un tamburo rullante; i carabinieri papalini in inferiorità numerica (erano due) si dettero immediatamente alla fuga; l’ufficiale giudiziario si nascose in un luogo rimasto per sempre segreto; i quattro testimoni falsi furono feriti e i civitavecchiesi vennero respinti a sassate oltre le mura di cinta. Nella confusione generale, Giggi Mastelloni con un balzo alla Zorro saltò in groppa a un cavallo (vero) e scomparve per sempre dal suo paese natale.
Questo è tutto quanto io, in questo momento, so di lui. E meno male. Perché, se per malaugurata ipotesi venissi a conoscenza di altre sue imprese, sarei costretta a scrivere un feuilleton di cento puntate alla Dumas padre e figlio messi insieme. Un’avventura letteraria che, onestamente, non avrei la forza di affrontare.
Palazzo Mastelloni, ora Palazzo Luzi, si affaccia su piazza Mazzini a Tarquinia, città che in quel tempo si chiamava ancora Corneto.