di Francesco Rotatori
Nel 1647 al cavalier Bernini fu commissionato un gruppo scultoreo con tanto di scenografia il più possibile teatrale da realizzarsi nella Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria. L’obiettivo dell’artista era di concretizzare la massima esemplificazione del suo stile, in un momento in cui la sua posizione sociale stava declinando e il pontefice Innocenzo X Pamphilj, dopo gli anni per Gian Lorenzo gloriosi di papa Urbano VIII Barberini, pareva dimentico delle qualità che una personalità eclettica e geniale quale quella del Bernini poteva vantare.
Il capolavoro che ne uscì in una sistemazione che occupò in tutto cinque anni fino al 1652, l’Estasi di santa Teresa d’Avila, è ora tornato a uno splendore inimmaginabile, avendo il restauro ridonato carnalità a quelle materie così dure- eppure tanto malleabili nelle mani dell’artista- che il tempo e l’usura avevano ingrigito, spegnendo la folgore che illuminava le statue della santa, colta riversa dalla “ferita d’amore” della Transverberazione, e l’angelo “di straordinaria bellezza” che dolcemente estrae la freccia dorata che ha appena attraversato il corpo della Carmelitana Scalza.
<<Il Signore,>> riporta Teresa nei suoi scritti (in questo caso citiamo un passo dal Libro della mia vita) <<mentre ero in tale stato, volle alcune volte favorirmi di questa visione: vedevo vicino a me, dal lato sinistro, un angelo in forma corporea, cosa che non mi accade di vedere se non per caso raro. […] Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avesse un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere quei gemiti di cui ho parlato, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. >>
Le ridipinture ottocentesche che erano state aggiunte per accentuare il cromatismo del candido materiale non avevano fatto altro che appesantire l’intero complesso e restituire un falso dell’originale sottostante. Stesso procedimento era avvenuto per gli stucchi dorati che negli aggiustamenti dei secoli avevano perso la loro primigenia brillantezza e così l’oculo sulla volta, che negli ultimi tempi accusava guasti.
Le riparazioni così come le ripuliture e le detersioni hanno restituito ai nostri occhi la bellezza splendente che il Bernini aveva progettato, proprio riconsegnando alla Trafittura misterica il ruolo di squarciare nella sua epocale spettacolarità- da intendersi sia esteticamente sia dal punto di vista compositivo, dal momento che l’autore provvide a collocare la visione come in un palcoscenico, confinando ai lati della cappella due gruppi di spettatori divisi in palchetti privati dai quali si assiste alla scena del miracolo- le tenebre della costruzione con il suo folgorante scintillio, come lo stesso strale del messo divino che dilania lo spirito umano, fuoco scoppiettante dolce eppure amaro, mezzo assieme di piacere e dolore.
L’orgasmo mistico che travolge santa Teresa arriva quindi al fruitore nel suo aspetto ossimorico, aspro e mieloso, solido e molle, e propaga quell’inappagata voglia divina che tutto trascende: basta uno sguardo e il cuore è trapassato dalla veduta così reale del Verbo divino che penetra in ogni uomo.
E che ne cosa ne rimane se non la testimonianza dell’assoluto potere dell’Arte di vincere ogni fallace gioia terrena nel gioco dell’appagamento totale dei sensi e dell’anima?