Il tormentone di questa anomala estate 2014 non è un motivetto musicale più o meno orecchiabile trasmesso a ripetizione su ogni frequenza radio, ma la fatidica frase che ognuno di noi ha pronunciato: “Che Estate!”.
E fra uno scroscio d’acqua e la speranza del sol leone attendiamo ancora quella canicola che poi detestiamo dopo qualche ora che ci attanaglia. Chi più ama il mare rimpiange i bagni che quest’anno si contano preziosamente. Fra confronti e paragoni con il passato ci si ritrova a fare i conti con i ricordi e i racconti di altre e più radiose stagioni estive. I miei ricordi personali non vanno oltre il capanno del nonno Amedeo con il fornello dove bolliva il sugo e la verandina dove si pranzava e alle esotiche paillottes del primo Tamurè evocative di terre misteriose e lontane.
È da queste e altre reminiscenze che mi è venuta la curiosità di conoscere quando i nostri antenati cornetani hanno scoperto la marina come luogo di svago. Sicuramente la ammiravano da lontano dagli affacci giù alle mura, alla ripa o giù da piedi piazza. Quanto ad esserne attratti per la frequentazione, essendo la loro provenienza per la maggior parte dalle montagne dell’appennino tosco-marchigiano e umbro mi sembra un po’ strana. La Corneto dei commerci con le repubbliche marine era persa irrimediabilmente nei secoli del medioevo.
Eppure ci deve essere stato però un momento in cui quel luogo ha cominciato ad esercitare la sua attrattiva. Era però lontano, distante circa sette chilometri dal colle turrito, troppi per poterci andare a piedi. Un cavallo con un carretto o una bicicletta erano lussi non certo alla portata di tutti. Più vicino c’era la Marta con i bagni rischiosi alla Brombolina per i ragazzi più audaci o il Guado delle Donne per le famiglie numerose che la raggiungevano a piedi. Senza dimenticare la pericolosità dei galeotti che lavoravano alle Saline e che ne facevano un luogo cui tenersi a debita distanza.
Da queste considerazioni mi è tornato alla memoria quanto mi fu raccontato ormai molti anni fa dalla Nonna Lidia, la nonna di un mio amico e compagno di scuola. La nonna Lidia, classe 1913, in giovane età, nella seconda metà degli anni venti del secolo scorso, era stata mandata ad imparare un mestiere come accadeva a quel tempo alle ragazze ritenute più fortunate di quelle che lavoravano i campi. I suoi genitori avevano scelto la casa della Zia Maria, sorella della mia nonna materna. La zia Maria, del 1895, era camiciaia e sarta di biancheria per uomo e signora. Le ragazze impegnate tutto il giorno ad imparare a cucire e tagliare e non avevano molti svaghi e soprattutto erano sotto costante controllo.
“Non era come oggi che le ragazze frequentano i ragazzi con tanta libertà, una volta le occasioni di incontro erano rare” – iniziò la nonna Lidia – ma la zia Maria ci faceva un regalo. D’estate dal 15 luglio a Ferragosto ogni lunedì affittava un carretto e ci portava al mare. I costumi erano di lana e a contatto con l’acqua si gonfiavano ed erano così lunghi che c’era poco da mostrare e quindi da far vedere. Ma il lunedì – proseguì nel suo racconto – era anche il giorno di festa dei barbieri e sulla spiaggia potevamo incontrare i loro maschietti di bottega. Ah! Quante corse sulla sabbia e quanti travuzzoli in mezzo alle onde con quei barbieretti” – mi disse con gli occhi persi in una felice nostalgia e la voce calda di commozione… Il tutto sotto lo sguardo vigile della zia Maria che per far trascorrere una giornata diversa alle sartine si assumeva un compito oneroso che era quello di salvaguardia della buona reputazioni delle giovinette.
Da questo piccolo spaccato di vita quotidiana della nostra cittadina in anni lontani del secolo scorso è nata in me la curiosità di conoscere storie simili riguardanti l’iniziazione dei nostri antenati alla vita balneare. Lettori de lextra fatevi avanti e sfruttiamo le colonne online di questo giornale per la salvaguardia della memoria della nostra storia minore!
Le foto a corredo provengono dall’archivio di Renato Rosati e fanno riferimento ai primi anni ’30 al Lido di Tarquinia.