Riceviamo e pubblichiamo
“Un’esperienza bellissima, di una portata che non immaginavo”: Namo Ristobottega e Tarquinia sono stati protagonisti a FICO, la Fabbrica Italiana Contadina, a Bologna in occasione dell’incontro nazionale dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi svoltosi lo scorso weekend.
Un vero e proprio melting pot del sapere in cucina, quello andato in scena, a Bologna: in particolare, Tiziana e Hassan Ismael Gaafar – le anime della cucina del ristorante tarquiniese – hanno lavorato ad una Cena Sudafricana “Slow Meat” nata dalla collaborazione tra le cuoche dell’Alleanza sudafricana – Adele Stiehler Van Der Westhuizen e Caroline McCann – e quelle dell’Alleanza italiana – oltre a Tiziana, la chef Tiziana Tacchi – proponendo ricette tradizionali delle comunità sudafricane e della tradizione regionale italiana, cucinando la carne della razza bovina romagnola, Presidio Slow Food.
“Lavorare in equipe con chef sudafricani, ma anche bielorussi – racconta Tiziana Favi di Namo – è stato avere la conferma che la cucina parla un’unica lingua, quella universale della passione per questo lavoro”. A “legare” le cucine di vari angoli del mondo, nell’occasione, è stata come detto la filosofia Slow Meat. “L’allevamento industrializzato degli ultimi settant’anni ha prodotto allevamenti sempre più grandi e inquinanti. – spiegano a tal proposito da Slow Food – Fabbriche di carne di scarsa qualità, di cui hanno fatto le spese gli animali, che vivono condizioni che non hanno più nulla di naturale, ma dove anche la salute umana è messa a rischio. Un sistema che ha travolto i piccoli allevatori, molti dei quali vivono e lavorano in territori marginali, dove sono indispensabili per conservare l’equilibrio del territorio e preservare un’agricoltura di qualità”.
Slow Meat, invece, nasce dal desiderio degli allevatori di produrre carne in modo sostenibile, allevando in modo estensivo al pascolo, ogni volta che il tempo lo consente, rispettano i ritmi di crescita naturale degli animali, privilegiano le razze rustiche e locali, per preservare la biodiversità, evitando di forzare i periodi di riproduzione, limitando i trattamenti antibiotici. Insomma, praticando un allevamento a misura d’uomo, di dimensioni contenute, in cui sia possibile conservare una relazione con gli animali e con il contesto naturale.