di Romina Ramaccini
Quella inaugurata il 22 febbraio al Complesso del Vittoriano è una delle migliori mostre organizzate negli ultimi anni all’interno della stessa struttura: Musée d’Orsay. Capolavori. Non poteva essere altrimenti: curata dal presidente del Musée d’Orsay Guy Cogeval e dal giovanissimo direttore delle collezioni e conservatore del dipartimento di pittura del Musée d’Orsay Xavier Rey, l’esposizione presenta per la prima volta a Roma 63 opere che sintetizzano il fervore artistico francese tra il 1848 ed il 1914.
Nella presentazione della mostra è stata più volte sintetizzata l’importanza della collaborazione tra il Musée d’Orsay ed i Musei italiani che, negli ultimi anni, hanno potuto vantare una rilevante presenza delle opere francesi: basti pensare alla mostra su Monet, Matisse, Renoir e Rodin, quest’ultima attualmente in corso presso le Terme di Diocleziano a Roma.
Oltre a questo, non sono mancate parole di elogio per il lavoro che costantemente il Musée d’Orsay svolge, aiutato dalle istituzioni, per promuovere l’arte e farla conoscere a livello mondiale, grazie anche al recente restauro della struttura museale che ha permesso l’esposizione di opere prima altrimenti costrette in magazzino. Insomma, una propaganda del proprio lavoro che sottolinea come nel paese francese sia forte la convinzione che “la cultura produce ricchezza e ci rende migliori”. Numeri alla mano: nel 2013 i visitatori al Musée d’Orsay hanno superato i 4 milioni, mentre i nostri Uffizi ne hanno avuti appena un milione e mezzo, non certo per la scarsa qualità delle opere che conserva!
La mostra, articolata in cinque sezioni, è preceduta da una presentazione che illustra le fasi salienti di quello che è il Musée d’Orsay oggi: dall’incendio avvenuto durante i tumulti del 1871, che hanno distrutto il palazzo ottocentesco che ospitava la Corte dei Conti, al suo trasformarsi in stazione ferroviaria per l’Esposizione Universale del 1900 per poi giungere al 1977, quando il Presidente Giscard d’Estaing decide di farne un museo.
Particolare attenzione, attraverso fotografie e progetti, è rivolta al lavoro di allestimento e museografia realizzato dall’architetto italiano Gae Aulenti nel 1986.
La prima sezione, Accademia e nuova pittura, mette a confronto L’arte dei Salon ancora molto apprezzata con quella realista che va affermandosi nella seconda metà dell’Ottocento ad opera del pittore Courbet . Spicca “Gioventù e amore” di Bouguereau, dove il classicismo contrasta nettamente con il realismo di “Donna nuda con cane” di Courbet. L’evolversi della pittura ed il distaccarsi dall’accademismo predominante del tempo, conducono l’artista allo studio della realtà, svolto non più all’interno di accademie, bensì immersi nella natura stessa. Con la Scuola di Barbizon, ha inizio lo studio impressionista della luce: il paesaggio diviene soggetto (non più solo mero sfondo) raggiungendo lo “stato nobile”.
Tele di Millet e Corot conducono alla seconda sezione: Il paesaggio e la vita rurale: dal classicismo all’impressionismo. Ogni artista, attraverso il proprio lavoro, rappresenta la realtà circostante della quale, nonostante la rivoluzione in atto ed il sopraggiungere della modernità, si sottolineano la purezza dei paesaggi, le sue luci ed i suoi colori, elogiando la vita rurale. Un lungo corridoio dove possono ammirarsi i primi studi di Cézanne, Monet, Pissarro, Sisley, Seurat, le relative influenze e le basi di ciò che da lì a poco porterà ogni artista a dipingere il proprio tempo.
Al piano superiore infatti, Rappresentare la propria epoca: la vita contemporanea, scene di tutti i giorni raccontano il cambiamento. Non possono non citarsi le famose ballerine di Degas: in mostra è “Ballerine che salgono una scala” ed ancora, dello stesso artista, L’orchestra dell’Opéra. De Nittis, Monet, Manet con Festa del 30 giungo 1878, Tissot, Pissarro e Renoir con Ragazze al pianoforte, un’opera dalla bellezza straordinaria eseguita nel 1892 ed acquistata nel 1959 dallo Stato, con l’aiuto della Società degli amici del Louvre.
La quarta sezione, Stati d’animo. La pittura simbolista, con le tele di Vuillard, Denis, Redon, pone l’accento sull’evolversi dell’arte allo scadere dell’Ottocento quando un gruppo di artisti, inventando un nuovo registro delle forme, introduce nei propri lavori le proprie emozioni, non unificandosi in un unico stile, ma dipingendo più soggetti ed in modo diverso gli uni dagli altri. Alla lezione impressionista della luce subentrano campiture di colore monocrome accostate tra di loro.
La mostra si conclude nella quinta sezione dedicata alle Avanguardie del XX secolo. Qui non possono mancare Vincent van Gogh, Paul Gauguin, ancora Claude Monet, Seurat, Bonnard e molti altri, tutti debitori dall’impressionismo che hanno rivolto però lo sguardo verso nuovi orizzonti. Si moltiplicano le sperimentazioni, la prospettiva va scomparendo e le tele divengono sempre più grandi (Nabis) .
Al termine dell’esposizione, nessuna confusione: l’intero percorso è lineare, ripercorre sinteticamente e chiaramente le singole fasi evolutive dell’arte del periodo preso in esame, accompagnando il visitatore con brevi didascalie che ben sintetizzano la sezione che si va ad ammirare. Insomma, nessuna voglia di strafare con il rischio di cadere nel caos, ma la semplice volontà di presentare anche ai meno conoscitori una fase dell’arte francese di grande importanza e farla comprendere nel migliore dei modi.
La mostra potrà essere visitata fino all’8 giugno 2014, tutti i giorni, presso il Complesso del Vittoriano. Una grande occasione per chi, ancora, non ha mai potuto ammirare tali bellezze al Musée d’Orsay, ma anche per coloro che hanno avuto la fortuna di farlo.