(s.t.) Ricevo questa nota del sindaco Mauro Mazzola e la pubblico unicamente per la chiarezza e la completezza d’informazione che devo ai lettori de L’extra. Perché, dato l’embargo che ha scelto d’imporre alla nostra testata, non vedrei alcun motivo per il quale garantire anche a lui questo spazio di libertà.
Più rileggo le righe del primo cittadino, peraltro, e più mi rendo conto che, dalla mancata pubblicazione, non potrebbe che trarne beneficio.
E così, se c’è sempre qualcosa che tiene in bilico il buon caro “acculturato” dallo scrivere o non scrivere su di me, io non mi sottraggo alle sue aspettative e porgo il fianco.
Lasciando da parte i miei più accaniti ruffiani (se sta parlando della mia segreteria, evidentemente, dovrebbe usare altri “cortesi” appellativi), mi preoccuperò io stesso di mitigare le mie esternazioni per ripararmi dall’ennesima figura “pedalina”.
Come già detto nel comunicato dello scorso sabato “Chiederò che sia specificata in modo più dettagliato il luogo di provenienza del vaso”, questo è quanto mi premeva e mi preme evidenziare: avere sulla didascalia il nome corretto della nostra cittadina, l’esatta dicitura del nostro museo -l’acculturato insegna- e cioè Museo Archeologico Nazionale Tarquiniense e non Museo Nazionale punto e, perché no, anche la segnalazione di Tarquinia su una bella cartina geografica.
Vero, sotto uno dei due vasi (mi perdoneranno i concittadini se ho detto vaso) appare la seguente annotazione (devo specificare che sto parlando di una legenda a favore di pubblico e non di una iscrizione in fondo al vaso?): “Terracotta vase in the form of a woman’s head; Greek, Attic, red figure, white ground, ca. 500-490 B.C.; signed by Charinos as potter; from Corneto-Tarquinia; attributed to the Charinos Class of Head Vases” e, in caratteri praticamente illeggibili “Tarquinia, Museo Nazionale 6845; Lent by the Republic of Italy, 2008.
D’altro canto molti sapranno che se vera ed indubbia è la produzione greca del vaso, non bisogna dimenticare che molti manufatti venivano prodotti per il mercato etrusco e iscrivibili dunque ai “tesori etruschi” perché ritrovati in Etruria, all’interno di tombe etrusche, acquistati da etruschi che li hanno voluti e valorizzati permettendo a noi, 2500 anni dopo di poter ancora godere della loro vista a Tarquinia o a New York che sia (ma con il giusto riconoscimento di cui sopra).
Le mie affermazioni sono suffragate da professionisti archeologi i quali, anzi, rafforzano il concetto poiché i ritrovamenti avvenuti nelle nostre terre, finanche di origine greca, sono, di fatto, testimonianza del potere e della ricchezza del popolo etrusco e in questo caso di Tarquinia.
Forse il partito preso di chi ha mosso l’accusa ha impedito di riflettere fino in fondo su quanto da me dichiarato e anziché dimostrare attaccamento a Tarquinia, così come io ho fatto ha, come da prassi, lanciato grida di orrore per una affermazione fatta solo in favore della mia cittadina.
Quanto alla diletta Diletta, invito anche lei a riflettere prima di parlare, qualità che potrà tornarle utile in età adulta.
Mauro Mazzola