Riceviamo e pubblichiamo
Martedì 11 giugno 2024, alle ore 18.00, si terrà all’Accademia Nazionale di San Luca la presentazione del Bollettino della Società Tarquiniese d’Arte e storia: La riscoperta degli Etruschi nel XVIII secolo. Il ruolo di Franciszek Smuglewicz, Franciszek Smuglewicz, organizzata con l’Istituto Polacco di Roma in collaborazione con la Società Tarquiniese d’Arte e storia e Omnia Tuscia. Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti disponibili.
SCHEDA DEL VOLUME: L’evento vuole ricordare la figura e l’opera del pittore polacco-lituano, Franciszek Smuglewicz, che soggiornò a Roma e nel Lazio, tra il 1763 e il 1784. Arrivato nella Città Eterna come giovane borsista di re Stanislao Augusto, ebbe modo di frequentare prima l’Accademia del Nudo in Campidoglio e poi l’Accademia Nazionale di San Luca, due delle più prestigiose scuole d’arte dell’epoca. Ebbe così inizio un lungo percorso artistico caratterizzato, in gran parte, dalla realizzazione di opere incentrate su tematiche storiche ed archeologiche. Tra queste, degne di menzione sono riproduzioni delle pitture della Domus Aurea e di alcune tombe di Tarquinia. Nel corso del Settecento, a far maturare un rinnovato interesse verso la civiltà etrusca, furono in concomitanza l’apertura di svariati scavi, purtroppo condotti senza fondamento scientifico, e il fervente dibattito intavolato intorno ai monumenti che si andavano scoprendo. Un ruolo sostanziale lo giocarono la Tuscia e i suoi monumenti, in particolare le tombe tarquiniesi, forte richiamo per quegli artisti che videro in quelle pitture un modello replicabile. Fu così che l’architetto James Byres, richiamò nell’allora Corneto (Tarquinia), l’antiquario Thomas Jenkins, artista, commerciante d’arte e banchiere in Roma, con il quale collaborava. Questi vi giunse nel 1761 e dopo aver perlustrato il pianoro della Civita, promosse delle ricerche nella necropoli dei Monterozzi, portando alla luce tre camere, di cui vennero riprodotti i dipinti murali, insieme alle iscrizioni, al tempo ancora leggibili, sulle pareti della tomba del Cardinale. Byres coinvolse anche il pittore polacco Franciszek Smuglewicz, al fine di compilare una raccolta di sessanta illustrazioni di cinque tombe. Ma l’opera dell’architetto scozzese, che peraltro si dimostrò un antesignano della moderna ricerca archeologica nel modo di analizzare e documentare i monumenti antichi, fu pubblicata a Londra solo nel 1842 da Frank Howard con il titolo Hypogaei or Sepulcral Caverns of Tarquinia. The Capital of Ancient Etruria, ormai priva del testo che accompagnava i disegni, andato perduto. Tale increscioso ritardo fece si che le tavole poste a corredo dell’opera, sebbene realizzate dal collaboratore polacco il quale per portare a termine il lavoro affidatogli dal Byres soggiornò a più riprese a Corneto tra il 1764 e il 1766, fino al secolo scorso furono erroneamente attribuite al Byres stessoe.
Sulla figura di Franciszek Smuglewicz e sul suo ruolo in seno alla ricerca antiquaria settecentesca, si sono interrogati autorevoli studiosi in un convegno che si è tenuto a Tarquinia, il 10 settembre 2021, proposto dall’Ambasciata di Polonia e dall’Istituto Polacco a Roma e possibile grazie alla sempre proficua collaborazione tra la Società Tarquiniense d’Arte e Storia e Omnia Tuscia, entrambe intente a promuovere e valorizzare, anche a livello internazionale, la storia della Tuscia e il suo territorio.
Gli esiti di quel convegno sono confluiti nel Bollettino annuale della S.T.A.S., a cui si sono aggiunti altri contributi.
Il volume apre infatti l’articolo di Claude Albore Livadie, dedicato a Witold Dobrowolski, studioso a cui si deve il riconoscimento della paternità di queste incisioni e di altre opere dell’artista polacco. Come ravvisa Jerzy Miziolek, il lavoro di Smuglewicz penalizzato dalla scarsezza di informazioni viene ancora oggi riconosciuto con insufficienza e risolto per sommi capi da insoddisfacenti citazioni in recenti pubblicazioni. Ma quella che emerge dalla lettura di questi atti è una duplice prospettiva sul pittore polacco: quale protagonista preminente di quei nuovi fermenti che nel XVIII sec. animarono gli ambienti culturali di tutta Europa, e in qualità di testimone dell’aprirsi della cittadina tirrenica ad operazioni di ampio respiro, animate da intellettuali, artisti, antiquari stranieri e caldeggiate da personaggi locali che percepirono come le scoperte di quegli anni a Corneto avrebbero concorso a ritagliarle un ruolo non secondario nel panorama dell’erudizione antiquaria e, soprattutto, nella tanto agognata ricostruzione del mito etrusco, che solo in quel secolo pare realmente avviata, come sottolinea Maurizio Harari.