di Anna Alfieri
Marguerite Duras (1914-1996): autrice cinematografica e scrittrice francese nata in Indocina tra le foreste tropicali e le immense pianure di fango e di riso nel delta del fiume Mekong. Marguerite – un tempo chiamata Nené – che quasi bambina amò con passione carnale e colpevole un ricco trentenne cinese e che su quell’amore scandaloso e proibito costruì il suo romanzo più audace, L’Amante, vincitore di un Premio Goncourt e meritevole di un bel film di Arnaud.
Marguerite, poi chiamata Margot, eroina della resistenza francese durante l’occupazione nazista. Marguerite, sfrenata e bellissima, espulsa dal Partito Comunista perché dissidente e immorale. Marguerite, ancora attraente e audace, sulle barricate sessantottine del Maggio Francese tra i giovani contestatori che scandivano i suoi slogan ormai diventati famosi nel mondo.
Sì, Marguerite Duras, proprio Marguerite Duras che, negli anni ’50, venne a Tarquinia dove nessuno la vide o, per pudore, nessuno la volle vedere. Eppure a me – ragazzetta ingoffata nell’eterno grembiule nero di studentessa di una perbenista scuola di monache benedettine – a me, quella magnifica scrittrice capace di raccontare con parole speciali ogni tipo di estreme passioni, ma capace anche di dire che nessuna di quelle passioni avrebbe mai potuto guarirla dal male di vivere, a me, quella donna, sarebbe piaciuta. Perciò, ora che conosco molte più cose di lei, posso affermare con certezza che avrei davvero voluto vederla risalire il Corso, attraversare Piazza Cavour e calpestare il nostro selciato con le sue scarpine eleganti. Mi sarebbe piaciuto avere ancora impresso nella memoria il suo fascino: una miniatura di donna con gli occhi verdi e distanti da sfinge, con le labbra colorate di rosso cupo e lo smalto alle unghie. Una regina dell’erotismo in tailleur grigio e filo di perle, umorale e amorale, profumata di Chanel e di amori avvinghiati.
Comunque, se è vero che – a Tarquinia – Marguerite passò inosservata o non piacque, è altrettanto vero che a Marguerite la nostra città piacque moltissimo. Le piacquero, e lo scrisse, il sole che inondava le piazze e la brezza che invece rinfrescava le strade ombrose, le scompigliava leggermente i capelli e sollevava i bordi delle tovaglie bianche di un ristorante all’aperto. Le piacquero le tombe etrusche più allegre, quelle in cui giovani uomini dal corpo resistente e temprato dal sole e dal vento danzano in estasi, consapevoli dei misteri orientali che forse anche lei conosceva. Le piacquero le chimere, i leoni dalla lingua infuocata, i delfini, i tori, gli ippocampi, le leonesse e le pantere dalle mammelle gonfie, dipinte sulle pareti dorate dei vecchi sepolcri. Ma ciò che le piacque di più furono i cavallini rossi e neri della Tomba del Barone. Infatti, concluso il suo viaggio in Etruria, la scrittrice pose subito mano a un suo nuovo lavoro, Les petits chevaux de Tarquinia (I cavallini di Tarquinia), nel cui titolo e nel cui cuore continuamente aleggia il ricordo della nostra città. Uno strano, estenuante e difficile romanzo a volte sgradevole in cui si parla di un’estate priva di brezza, angosciata dalla noia e frustrata da tante tentazioni irrisolte, un’estate senza spostamenti emotivi e immersa in un quotidiano e insopportabile snodarsi del nulla. Tutto accade in un luogo opprimente situato tra la Toscana e la Liguria dove qualcosa di opaco impedisce di respirare e dove perfino i platani muoiono senza che nessuno capisca il perché. Poi, all’improvviso, e solo nelle ultime righe spossanti, avviene la svolta che dà senso e valore esistenziale e letterario all’intero racconto e sostanzia il suo titolo. “Per non impazzire – dice infatti, a sorpresa, qualcuno – bisogna tornare a Tarquinia e rivedere i suoi cavallini che sono belli come non si sa cosa”.
C’est une bonne idée, Tarquinia! Vous allez voir ces petits chevaux des tombes étrusques. Il sont beaux comme je ne sais pas quoi. Et tous recommencent à parler d’autres vacances faites, de nuits fraîches et de vent. Elle espérait que cette nuit-là, la pluie arriverait, et elle s’endormit très tard, dans cet espoir. “E’ una buona idea, Tarquinia”!
Ed ecco che al solo evocare i suoi cavallini, les petits chvaux de Tarquinia, tutti ricominciano a sorridere a parlare di vacanze felici, di notti fresche e di vento rigeneratore. E perfino le foglie dei platani morti ricominciano a fremere.