(s.t.) “Non ho altro da aggiungere”: su queste, uniche, parole pronunciate da Manuel Catini si chiude il consiglio comunale fiume – cinque ore quasi di dibattiti, tra microfoni all’inizio non funzionanti, sospensioni e cambio della guardia alla presidenza – che la politica tarquiniese attendeva da settimane. E si conclude, quindi, come un film senza finale, perché l’attesa per le parole dell’ex vicesindaco si smorza quando lui stesso – un attimo prima che il presidente del consiglio, Federica Guiducci, dichiari chiusa la seduta – si alza dallo scranno, raccoglie chiavi e telefono ed esce dall’aula. A parlare, sulla vicenda, è stato unicamente il sindaco – oltre, naturalmente, alla minoranza – che ha subito messo in chiaro le cose leggendo una nota: “Sulla vicenda sono in corso delle indagini: trovo inopportuno aprire una discussione per la quale i diretti responsabili sono già stati o dovranno essere ascoltati dall’autorità. C’è il rischio di lanciarsi in valutazioni personali e prove di riscontri, oltre che di interferire con le indagini in atto”.
Prima di raccontare quel che era accaduto tra le parole del sindaco e la chiusura del consiglio – e cioè delle dichiarazioni dai banchi dell’opposizione – c’è da chiedersi soprattutto perché il primo cittadino non abbia messo in campo l’identica strategia nella prima convocazione del consiglio sul tema, finita invece con la diserzione della maggioranza e la presenza della sola opposizione: come anche la stessa minoranza gli ha fatto notare, sarebbe tutto probabilmente finito in quella sede, senza strascichi e carichi di veleno tutt’ora vivissimi. E viene da pensare che a generare quella scelta siano stati, piuttosto, i rapporti con il presidente del consiglio Arrigo Bergonzini, che invece fu fiero sostenitore di quella convocazione: chissà che a questo non sia legata l’uscita dall’aula, a metà consiglio, di Bergonzini, che interpellato, però, adduce precedenti impegni personali per spiegare il saluto anticipato.
Al di là delle riflessioni di carattere politico interne alla maggioranza – su cui si avrà tempo di ragionare, anche considerando altre espressioni di voto nel corso della lunga assise di stasera – restano ferme le parole di Mencarini che ha ribadito l’apprezzamento “per il senso di responsabilità mostrato da Catini, che subito dopo la divulgazione della notizia ha lasciato la carica di vicesindaco, in attesa che fossero approfonditi i fatti” e sottolineato il “modo corretto dell’amministrazione di gestire la vicenda, non sottovalutando quanto avvenuto con l’accesso nelle aule comunali e l’utilizzo della fascia tricolore ed informando immediatamente le autorità”. “Fermiamo ogni tentativo di strumentalizzazione: – ha concluso Mencarini – quanto avvenuto nulla ha a che fare con l’attività politica e amministrativa che stiamo svolgendo”.
Immediata la reazione di Anselmo Ranucci (PD): fu lui a pubblicare per primo la famigerata foto con la fascia tricolore, ed è lui il primo a replicare a Mencarini. “Impensabile pensare di dire queste cose dopo novanta giorni di silenzio. – ha esordito – Nessuno di noi vuole interferire con l’attività delle autorità competenti, ma vogliamo la verità dal punto di vista politico: e chi meglio del diretto interessato può dircela? Ce lo dice, Catini, cosa è accaduto in quella stanza, o dobbiamo aspettare la magistratura? Perché se lui non c’entra nulla, può tornare vicesindaco, ma se c’entra qualcosa non può essere nemmeno assessore. La città ora vuole la verità: e mi spiace che, cavalcando questa vicenda, qualcuno mi abbia fatto litigare con il sindaco, che resta l’unico legittimato a portarla”.
Linea simile quella di Sandro Celli, l’altro consigliere PD: “La dichiarazione del sindaco è un nuovo tentativo di imbavagliare il consiglio, dopo aver disertato la convocazione precedente. La città, invece, ha bisogno di rispetto, facendo così glielo state mancando: e sinora solo dal sindaco ho sentito pronunciare parole di condanna e presa di distanza da quel gesto”.
“Le dimissioni da vicesindaco sono una risposta data a metà – ha continuato sul tema Renato Bacciardi – Rimettere la delega significa aver sbagliato qualcosa, ci spieghi cosa, altrimenti qualcosa non torna. Oltretutto, questo continuo nascondersi dell’amministrazione, sino a stasera, non ha fatto che prolungare una storia che altrimenti sarebbe già finita. Ora, almeno, spero per il futuro abbiate imparato a non giocare più dentro le stanze del comune”.
Cesarini (M5S) torna sul tema dell’antifascismo: “Credo che, dopo quella foto giunta ovunque, questo consiglio debba impegnarsi non solo nei chiarimenti, ma anche nella stesura e condivisione di un documento comune sulla forza della democrazia e contro ogni forma di apologia del fascismo, che è cosa vecchissima che, però, ha la capacità di diventare un problema, per questa tendenza dei giovani e non solo a immaginare che, per risolvere i problemi, basti uno che faccia tutto”.
La minoranza, insomma, tocca i temi già trattati nella conferenza stampa improvvisata al posto della prima convocazione, mai svoltasi, del consiglio. Tranne Gianni Moscherini, che invece pare concedere un’apertura sul tema a sindaco e ex vicesindaco che, però, forse nasconde una “trappola” più a lungo termine per Catini. “Sono sincero: io, che così certo della passibilità penale del gesto non sono, se il sindaco fosse venuto a dire queste cose in consiglio la vota scorsa avrei preso per buone quelle parole. Compreso il suo apprezzamento per i gesto delle dimissioni di Catini, che ha fatto uno sforzo a dimettersi – perché quel ruolo di vice gli piaceva – e dimettersi, dopo che quanto accaduto dentro la stanza di sua responsabilità ha ridicolizzato la fascia tricolore, è gesto positivo e coerente. E, anzi, a mio avviso, proprio per questo motivo, non dovrebbe tornare vicesindaco nemmeno se le indagini ne confermeranno l’estraneità alla vicenda. Certo è che se pensiamo male, è per colpa vostra: se foste venuti al consiglio quando convocato ora sarebbe un capitolo politico chiuso”.