(s.t.) È stata protagonista nelle cronache dei giorni scorsi la vicenda delle numerose casse di opere antiche – per lo più etrusche e romane – ritrovate dai Carabinieri a Ginevra: notizia “rimbalzata” sonoramente anche a Tarquinia, dato che molti di quei pezzi nascosti per 15 anni in Svizzera proverrebbero proprio dalla città etrusca.
Ma come in ogni storia thriller che si rispetti, non possono e non devono mancare particolari curiosi da aggiungere; e, soprattutto, personaggi sopra le righe: quelli su cui, insomma, è stata la vita stessa a costruire un romanzo.
Nel nostro caso – cioè nella storia “anche tarquiniese” che abbiamo raccontato in cronaca nei giorni scorsi – il protagonista che aggiunge sale alla vicenda è uno dei più noti mercanti d’arte del mondo: anzi, come definito dalle stesse autorità svizzere, “un ex mercante d’arte britannico di alto profilo”. Ex, appunto, perché da Ginevra ricordano come il suo nome “sia stato collegato in passato al commercio di antichità saccheggiate in tutto il mondo”.
Perché Symes è uno che, quando fa le cose, le fa con stile: e così strutture come il J. Paul Getty Museum di Los Angeles o il Metropolitan Museum of Art di New York hanno dovuto restituire le antichità acquisite mediante lui nel timore che fossero state ottenute illecitamente.
Ma come era sorto l’impero di quello che, prima di cadere in disgrazia, era definito uno dei commercianti d’antichità più noti e di maggior successo di Londra? Esattamente dallo stesso punto da cui, anni dopo, avrebbe iniziato a disgregarsi. Un punto che ha un nome ed un cognome – Christo Michaelides – ed anche parecchi soldi, già che Christo, partner storico di Robin, era figlio ed erede della ricca famiglia Papadimitriou; ed è con lui che Symes aveva costruito il suo imponente e clamorosamente redditizio business.
Nel corso degli anni ’70 i due rappresentavano la coppia glamour per eccellenza del mercato internazionale, dividendo il loro tempo tra un appartamento a New York, una casa a Londra, una suite ad Atene e una villa sull’isola greca di Schinoussa, nell’arcipelago delle Cicladi. Una fortuna fatta di Bentley, autisti e vita mondana, frutto dell’opera di vendita di antichità a ricchi collezionisti privati e musei, con il valore della loro azienda ad un certo punto stimato in 125 milioni di sterline.
Ma nel 1999, durante una vacanza in Umbria, Michaelides, 56 anni, cade scendendo alcuni scalini, batte la testa e – drammaticamente – muore. E se per Christo termina il percorso in questa vita, per Robin inizia, in quel momento, un vertiginoso declino. Manifestatosi sotto forma di battaglia legale con la famiglia di Michaelides, che rivendicava il diritto a metà del patrimonio che la coppia aveva accumulato. Semplice la difesa di Symes: Christo non era un socio, ma solo un dipendente della società, non a caso denominata Robin Symes Ltd. Giunta davanti all’Alta Corte di Londra, la querelle finì però male per Symes: i Papadimitriou vinsero la causa aprendo per il mercante d’arte la strada della bancarotta.
E pare sia proprio in quel momento che, per tentare di sottrarre quanti più beni possibile dall’accordo finale con i rivali, Symes abbia nascosto a Ginevra – città dove risiedeva in quel periodo – le casse di recente ritrovate. D’altronde, nel corso di quel processo, Symes le aveva tentate tutte per non perdere pezzi della sua redditizia collezione, provando in vari modi a mascherare l’effettivo valore di quanto aveva guadagnato nell’estremo tentativo di ridurre il pagamento dovuto: ammise, ad esempio, l’esistenza di soli cinque magazzini per la conservazione delle opere, ma si scoprì in breve che le antichità erano nascoste in almeno 29 strutture tra Londra, New York e la Svizzera. Il risultato fu un’aggravante per “disprezzo serio e cinico della Corte” e per aver “raccontato numerose bugie sotto giuramento”.
La condanna definitiva arrivò nel 2005: due anni di carcere per oltraggio alla corte, di cui soli sette mesi scontati in carcere. Giusto in tempo per uscire e trovarsi coinvolto in un altro scandalo, con l’accusa – dettagliatamente riportata sul libro “The Medici Conspiracy: The Illicit Journey of Looted Antiquities from Italy’s Tomb Raiders to the World’s Greatest Museums”, a firma di Peter Watson – di fare parte di una rete di commercio illecito di antichità. Ma questa – almeno per noi tarquiniesi – è un’altra storia.