di Stefano Tienforti
Non sono particolarmente fan di Greta Thumberg, non tanto per il personaggio o il messaggio, quanto perché non amo affatto questa necessità della società moderna di dover dare per forza un volto simbolico ad un messaggio. Come se pensieri, idee e opinioni avessero per forza bisogno di un portavoce in carne, ossa e voce per ottenere il proscenio che meritano.
Ma trovo più che positivo che una generazione ormai – ahimè – ben più giovane della mia scenda in piazza per fare proprio un messaggio e mi pare quasi superfluo sottolineare come, se anche solo il 3% di quei ragazzi si farà portatore delle istanze per cui manifesta, il risultato sarà comunque enorme.
Superfluo, però, a quanto pare non lo è, perché proliferano in rete critiche a questi ragazzi: “Sono lì solo per saltare scuola”, “Poi mangiano da McDonald’s” ecc. Ed in rete girano, stracondivise da chi sostiene il fronte critico di cui sopra, le riflessioni attribuite al giornalista australiano Andrew Bolt che “smaschererebbero l’ipocrisia dei giovani che manifestano per il clima”.
“Ragazzi, prima di protestare, spegnete l’aria condizionata, – recita l’ultima parte della riflessione – andate a scuola a piedi, spegnete i vostri telefonini e leggete un libro, fattevi un panino invece di acquistare cibo confezionato. Niente di ciò accadrà, perché siete egoisti, mal educati, manipolati da persone che vi usano, proclamando di avere una causa nobile mentre vi trastullate nel lusso occidentale più sfrenato. Svegliatevi, maturate e chiudete la bocca. Informatevi dei fatti prima di protestare”.
Come se l’educazione di questa generazione non fosse responsabilità di chi ha costruito questa società e creato questi modelli, di chi ha accettato compromessi e alimentato un sistema economico e sociale che oggi presenta il conto. Le cui colpe, a ben vedere, non possono certo esser fatte ricadere su chi questo mondo non ha avuto ancora modo di viverlo e provare a cambiarlo, ma semmai di chi a quelle abitudini li ha abituati mentre nulla faceva per invertire la tendenza.
È sport facilissimo, lo è stato per le generazioni passate e lo sarà per le future, idealizzare il proprio passato e criticare modi e scelte di chi viene dopo. Sono cresciuto sentendo parlare di continuo della superficialità della mia generazione, del suo disimpegno, della mancanza di valori. E mi sono sempre chiesto come mai, allora, chi era così preso a criticare o chi ci rinfacciava l’impegno del ’68 – chissà se lì a manifestare ci andavano tutti pieni di ideologie o c’era qualcuno che voleva solo saltare lezioni – ci avesse lasciato una società nelle condizioni terribili in cui abbiamo dovuto crescere e in cui oggi ci dobbiamo arrangiare.
Oggi, perciò, prendiamoci le nostre responsabilità, evitando di denigrare e sminuire chi, con più o meno consapevolezza o reale impegno, ce le sbatte in faccia. E voi, ragazzi, continuate: tanto il giorno in cui non scenderete in piazza, saranno pronti ad accusarvi essere passivi e non credere in nulla. Scrivendolo su Facebook dal divano di casa.