Riceviamo e pubblichiamo
È da tempo che l’affaire PUGC incontra l’interesse di molte persone siano esse tecnici, personaggi del settore interessato, oppure semplici cittadini sensibili alla pianificazione del territorio comunale ed alla salvaguardia e conservazione dell’ambiente naturale che avvolge il nostro centro abitato.
L’unica certezza che ad oggi esiste è che quello strumento programmatorio (PUGC) che la vecchia amministrazione ha voluto testardamente avviare, nonostante le contrarietà sollevate da più parti, è “abortito”. Si, proprio così. È morto con la presentazione da parte dei progettisti del “preliminare del progetto preliminare”. Un termine tecnico che indica la fase propedeutica alla stesura vera e propria del piano nella quale vengono rappresentate le linee generali da inserire nello strumento tecnico vero e proprio.
E tutto ciò, a mio modestissimo avviso, è stato un bene se non fosse che questo “aborto” è costato alle casse pubbliche e quindi al contribuente una cifra di tutto rispetto, anche se a tutt’oggi nessuno è stato in grado di quantificare con esattezza l’importo dovuto ai progettisti. Oltre a determinare (l’aborto) una paralisi pressoché totale dell’edilizia che si è assommata ad una crisi più generale dovuta al periodo di recessione nazionale in atto.
Dico che è stato un bene in quanto l’attuale Piano Regolatore Generale seppur obsoleto e quasi esaurito aveva ed ha tutte le potenzialità per essere utilizzato come base di partenza per la redazione di uno strumento di revisione dello stesso, nei limiti consentiti dalla vigente legislazione nazionale e regionale. E tutto ciò con costi notevolmente inferiori (lo si potrebbe addirittura far redigere agli uffici tecnici comunali avvalendosi anche dei precedenti studi effettuati dalla stessa struttura) e con tempistiche di approvazione che nulla hanno a che vedere con quelle previste per l’approvazione di un nuovo Piano Urbanistico Generale (basti pensare che non potrebbe essere necessario, ponendo particolare attenzione al contenuto, neppure il parere paesaggistico della struttura regionale con i tempi biblici che esso comporta).
E questa seconda possibilità non inficerebbe lo sviluppo edificatorio che, anziché prevederlo in nuove zone del territorio da sottrarre alle attuali vocazioni agricole, naturalistiche ed archeologiche, verrebbe individuato in quei comprensori dove c’è presenza di cubature non utilizzate da recuperare e/o trasferire in aree limitrofe più confacenti, se non addirittura – e ciò sarebbe auspicabile – senza l’utilizzazione di ulteriore territorio attraverso un recupero di volumi di tutto rispetto ed un riuso delle medesime aree – attualmente degradate – per finalità collettive.
Sapete quali potrebbero essere le uniche criticità attribuibili a questa ultima soluzione? Che le aree di “recupero e riqualificazione urbana” con i loro “modesti” volumi, non essendo appetibili alle grandi società di costruzioni, dovrebbero/potrebbero essere affidate all’imprenditoria locale media e piccola anche attraverso la costituzione di associazioni temporanee di imprese del territorio con una ricaduta economico/occupazionale consistente. Di certo questa che io ho provocatoriamente indicato come criticità sarebbe sicuramente più utile per il rilancio dell’economia del settore immobiliare e dell’indotto a livello locale.
Da ultimo vorrei evidenziare che il nuovo strumento di programmazione, qualunque esso sia, dovrà prevedere prioritariamente un piano di revisione della viabilità extra urbana comprensiva di adeguate aree a parcheggio.
Viabilità che, già insufficiente, ha subito il colpo di grazia finale con la realizzazione del corridoio autostradale tirrenico. Tale revisione è a mio avviso irrinunciabile e necessaria per consentire un agevole quanto sicuro collegamento tra il centro abitato ed i comprensori circostanti, le aziende agricole e le molteplici strutture turistico-ricettive presenti sulla fascia costiera, eliminando – o in ogni caso riducendo sensibilmente – il rischio incidenti e ottimizzando i tempi di spostamento.
Luigi Calandrini