Riceviamo e pubblichiamo
Caro Stefano, con frequenza molto, molto dilatata nel tempo, torno ad usare la tua creatura per dare sfogo al mio dolore.
Tarquinia sta morendo! Forse è già morta! Alcune vicende attuali hanno riaperto la ferita che la mia carne fa fatica a sopportare. Sono tornato all’Ospedale dopo molti mesi: non c’è più! L’Università Agraria si avvia ad una nuova votazione senza accorgersi di essere diventata, da un nobile Ente di cittadini, un bivacco di legionari. L’autostrada sta sconvolgendo le nostre intelligenze, oltre alla nostra vita, in un infinito stupro di territorio e di buon senso. Il Centro di vinificazione sta rapidamente scivolando verso il vicino conservificio, con cui condividerà presto la sorte. Girando per i le vie di Tarquinia i cartelli più gettonati sono “vendesi” e “affittasi”, spesso con annessa canna fumaria (ironica eco di una fine tragica). L’Estate Tarquiniese è passata, ancora una volta, senza uno straccio di iniziative degne di Tarquinia; svanita insieme ai turisti. Mi fermo, potrei proseguire, ma a me basta e avanza.
Che dire? È colpa di una classe dirigente che pensa solo a se stessa? È colpa di un popolo che non ha la forza di reagire e si è lasciato trasformare in una crocetta da apporre vicino ad un disegnino? Manca uno Spirito, un’Anima, una nuova Energia che scuota i cuori prima che le menti? Forse. A me, vecchio politico di un tempo passato, manca ormai ogni speranza. E mi limito ad alzare un pianto solitario, come un pastore errante che non sa darsi nessuna risposta. E ti chiedo scusa se ho usato il tuo mezzo per farlo. Grazie.
Sandro Vallesi
29 settembre 2015