Riceviamo e pubblichiamo
Nella mia consueta passeggiata mattutina lungo la strada della Saline, arrivo inevitabilmente alla recinzione che perimetra lo stabilimento dei sali scelti, posto in fondo alla via principale del borgo (via Garibaldi, come si legge sulla facciata sbiadita dello stabile che ospita il Corpo Forestale dello Stato), e proprio dietro quell’orologio ormai fermo, posto sopra l’ingresso dello stabilimento che segna le cinque meno dieci di chissà quale giorno, mese ed anno, scorgo quell’imponente ma sofferente costruzione che ha ospitato, come dicevo, lo stabilimento del sale.
Sarà perché anni orsono avevo avuto modo di visitare quello stabile per collaborare con mia figlia al rilievo dello stesso per la redazione della sua tesi di laurea, ma ogni volta l’occhio mi porta a guardare quella struttura che, nel tempo, mostra la sua “vecchiaia” ed un livello di degrado che inizia a destare seria preoccupazione per la sua sopravvivenza. Infatti la facciata esterna, incorniciata da un telaio in conglomerato cementizio armato, tamponato con una muratura in mattoni di laterizio, evidenzia tutta la sua vetustà, con uno stato di degrado che, come un tumore lento ed inarrestabile, sta minando la vita della costruzione.
È evidente che i lunghi anni trascorsi dalla chiusura della salina e l’assoluta mancanza di manutenzione, hanno contribuito fortemente ad una accelerazione del fenomeno. Sta di fatto però che, a mio sommesso parere, la struttura rischia il collasso strutturale con la conseguenza che l’immobile potrebbe – seppure in ipotesi del tutto astratta – essere interessato da crolli. Da uno sguardo molto sommario ed esterno, le parti maggiormente interessate dal fenomeno appaiono le strutture portanti verticali ed orizzontali lato mare ( perché più esposte ai venti ‘salini’ di libeccio) insieme alla sommità della costruzione costituita dal parapetto del terrazzo di copertura. Ricordo comunque che già quando anni fa entrai all’interno dell’immobile i solai intermedi e le scale di collegamento, presentavano zone a rischio crollo sulle quali era sconsigliato passare e, seppure in maniera posticcia, transennate dal personale all’epoca in servizio.
Dato che di recente, ho visto transitare all’interno dell’area, proprio a ridosso della costruzione, persone ed addirittura una scolaresca di bambini accompagnati dai relativi insegnanti, ritengo doveroso segnalare – attraverso la sua testata – una situazione che, oltre a mettere a rischio la conservazione del bene (pubblico) classificabile per caratteristiche ed epoca della costruzione come “Archeologia industriale”, potrebbe creare pericolo per la pubblica/ privata incolumità. Evitiamo di raggiungere una situazione analoga a quella riscontrata per Porto Clementino – attraverso un intervento di consolidamento ancora tecnicamente ed economicamente sostenibile – con la possibilità, magari, di concederlo a privati che ne possano sfruttare, nel rispetto dei caratteri formali, le peculiarità intrinseche in modo da creare una possibile fonte di reddito e, non secondario per importanza, tramandare alle generazioni future un patrimonio storico irripetibile.
Grazie per l’ospitalità,
Luigi Calandrini