Riceviamo e pubblichiamo
Festa del melone a San Martino, un vero successo. Non ho mai indossato un’uniforme o una divisa, anzi, per di più, devo dire che ho sempre rifuggito la cosa.
Sono figlio di tempi e di una terra nei quali le radici sono pressoché recise, per i quali il futuro è l’unica cosa che conta ed il valore al quale mi sento di essere sempre stato educato è quello del relativismo. Eppure sabato sera mi è accaduto qualcosa che in molti di certo non avranno nemmeno notato, ma che per me ha rappresentato una vera rivoluzione.
Alle sette della sera, in piazza San Martino, eravamo tutti intenti a preparare per la Festa del Melone che di lì a pochi minuti avrebbe avuto inizio. Ecco che qualcuno porta una grande scatola e inizia a distribuire delle polo color vinaccia a tutti i volontari. Sapevo che avremmo indossato delle magliette di riconoscimento del Comitato, ma non avevo pensato a quello che avrei potuto provare indossandone una. L’occhio mi va subito sullo stemma del gruppo, la contrada San Martino. Questa la soluzione al dilemma della nostra terra, un semplice simbolo, cucito su una maglietta, al quale tutti noi facevamo riferimento, e del quale vantavamo orgogliosamente l’oca e l’uva inscritti nello scudo. Quel simbolo ci rappresentava e ci univa sotto un unico vessillo: per quelle due sere non eravamo più Tizio, Caio, o Sempronio, ma un’unica contrada.
Con così poco il Comitato San Martino ha dato il via a qualcosa al quale guardare attentamente per i prossimi anni. Noi cittadini di Tarquinia raramente ci siamo sentiti orgogliosi della nostra terra e di volta in volta abbiamo cercato simboli che ci unissero e ci facessero collaborare, ogni volta con dubbi risultati. Stavolta c’è una linea da seguire. San Martino, con un simbolo su una polo, ha messo un punto alle nostre divisioni, ha tracciato un confine, una linea con il quale possiamo affermare con sicurezza: “Tutto quello che era prima è passato. Da qui in poi è un’altra storia.”
L’orgoglio di appartenere a un gruppo, di avere radici in qualcosa ha spinto i vari volontari a lavorare giorno e notte per la riapertura di una chiesa e il simbolo di tutto ciò è proprio quello scudo. Molti leggeranno questa lettera storcendo il naso, ma credo che due parole su quanto accaduto vadano spese. È proprio dal basso, da gruppi di persone come i comitati di quartiere che si ricostruisce un paese. Siamo in ritardo di cinquant’anni rispetto a città anche limitrofi dove il concetto di contrada porta al rispetto e allo sviluppo della propria terra e all’organizzazione di manifestazioni di alto spessore.
Certo non è la festa del melone la soluzione ai problemi della città, ma proprio questo unirsi, oltre la politica e anche oltre l’associazionismo, potrebbe esserlo. E’ un amore sconfinato per il proprio quartiere nutrito di ricordi, intriso di storia e radicato nella memoria di ognuno. Un amore che può essere trasmesso ad altri o insegnato ai figli, cosa che farà sì che tra qualche anno, se il tutto verrà mantenuto, vedremo i piccoli continuare il lavoro dei grandi. Alla lezione del Comitato San Martino si affianca quella del Comitato Madonna dell’Olivo che in questi ultimi anni ha collezionato dei grandi risultati. Chissà che Sant’Antonio non inizi un cammino simile: le grandi cene di quartiere non siano che un seme. E San Leonardo? Se anche lì turbinoso estro di Sandra potesse essere trasmesso all’intero quartiere? Non sarebbe bello vederli mettersi in competizione l’uno con l’altro, come a Siena, Allumiere, Soriano ecc.?
Gli amministratori locali abbiano a cuore la cosa perché forse potrebbe essere questa la molla per la ripresa dell’economia turistica della città, e tra gli amministratori conto logicamente anche la Proloco. Non pensiamo che quella maglietta sia un semplice vanto di un gruppo, pensiamo invece che possa essere una guida, un libretto per le istruzioni di quella complessa macchina che è Tarquinia.
Sono onorato di essere stato tra coloro che per primi hanno indossato quel simbolo e per questo non posso che ringraziare il Comitato. Viva San Martino!