Non credo che Piero Nussio con il suo articolo “Libridine” si proponesse di attizzare una discussione. In effetti dopo averlo letto, pur lasciandomi un po’ d’amaro in bocca, lo avevo digerito come un cioccolatino al sapore di libro. Sennonché venerdì sera, mentre me ne stavo seduto sonnecchiando in attesa del documentario su Bruno Elisei, Piero mi si siede accanto e alla mia battuta sulla stanchezza dopo una giornata di lavoro in campagna tra fango e tramontana, se ne esce dicendo che anch’io faccio parte del club del grano duro. Ho replicato che proprio in quei giorni, dovendo cercare un libro non più pubblicato, mi ero recato alla Biblioteca comunale restando ammirato per la bellezza del luogo, ma che non c’era nessuna ragione che per lodare il triangolo della cultura si dovesse dir male del grano duro e del ciclismo.
Piero, correggendomi, precisò che la sua vera intenzione era di sottolineare il cambiamento in atto nella società tarquiniese che lui condensava nella battuta: “Se durante oggi uno dei processi del Premio Cardarelli passasse il giro d’Italia non c’andrebbe nessuno a guardarlo.” Ecco, è appunto questo che non va! Che uno se la prenda con “le caraciane” passi, è uno sport che a Tarquinia si pratica da tanto tempo,anche se non si può negare che il grano duro abbia una sua nobiltà che esula da una limitata classe sociale, ma Piero dovrebbe rammentarsi che una parte di quella Biblioteca è stata resa possibile dall’IMU e dall’IRAP che anche in questi tempi di crisi gli agricoltori pagano grazie ai sei-sette milioni di euro del grano duro e degli appassionati interventi che suo padre, “il segretario”, svolgeva alle assemblea della Pantano a difesa di tutto il settore agricolo. Ma prendersela col ciclismo proprio no!
Se c’è uno sport popolare che simboleggia la condizione delle classi lavoratrici e la loro fatica per giungere alla vetta, quello è proprio il ciclismo che nella bicicletta, mezzo di trasporto sostenibile, sintetizza la civiltà dei “bifolchi”(i braccianti agricoli) che ogni giorno si recavano a fare giornata a cavallo delle due ruote. Ed anche se oggi quello sport è falcidiato sotto il peso degli scandali del doping, conferma la sua profonda natura umana proprio nelle sue ingenuità e nelle sue debolezze, che altri sport riescono a nascondere meglio.
Caro Piero i tarquiniesi amano andare a sentire Stella e Rizzo e a vedere la corsa di biciclette. Magari non saranno le stesse persone, ma perché mettere gli uni contro gli altri? Ecco perché sento il bisogno di intervenire. Contrapponendo la cultura “alta” alla cultura popolare, Piero finisce per comportarsi come “le caraciane” che passavano il loro tempo tra la semina e il raccolto a dire male di tutto e di tutti. La pratica di valorizzare qualcosa deprezzandone un’altra, vizio eterno del patrio suolo italico, non ne ha mai incrementato la preziosità, semmai se ne è resa subalterna. Sulla maldicenza si sono accumulate macerie di meritevoli iniziative che, per puro autolesionismo, abbiamo lasciato che fallissero senza comprendere che solo con un afflato comunitario le società crescono e superano le asperità. Come una squadra, di ciclismo o di braccianti, appunto. Pensa che bello sarebbe se Tarquinia prosperasse valorizzando la sua coltura tipica (che tra l’altro ha dato il nome ad un colore: il giallo Tarquinia), ci fossero sempre più lettori di libri e la domenica andassimo tutti a guardare la corsa di biciclette!
Sandro Vallesi