Riceviamo da Marco Vallesi e pubblichiamo
Sono nato a Tarquinia (in casa) il 1° agosto 1958. Qui sono cresciuto e vissuto per i miei (quasi) 62 anni. Mi sono interessato di alcuni aspetti, e in diversi modi, della vita sociale e culturale della Città osservando, nel tempo, una progressiva mutazione delle abitudini del vivere cittadino. Con la stessa progressione ho maturato esperienze che mi hanno condotto ad approfondire rapporti, conoscenze, amicizie e inimicizie.
Mi è anche capitato, nel corso di questa ormai lunga militanza da tarquiniese, di percepire una sorta di durevole maleficio, disposto da qualche immaginifico ma ancestrale e cattivo “stregone”, ai danni dell’intera comunità e del suo territorio. Pensieri in libertà, certamente, ma che riconducono alle disgrazie in cui, con una certa inesorabile cadenza, incappano le sorti, poi maligne, di questa nostra grande piccola patria.
Qualche volta mi è pure capitato di scrivere di certe vicende, di obbrobri architettonici e umani, di quelli ambientali e politici. Questo, lo so per certo, ha prodotto nei miei confronti sentimenti ed esternazioni, per lo più vigliacche dato lo spessore dei personaggi, improntate al livore e, forse, all’odio.
Già l’odio. Un sentimento che in sé è già un quadro di negatività e che implementa il germe della violenza in ogni sua forma; un sentimento che, qualora fosse rivolto individualmente e visibilmente alla mia persona, potrebbe suscitarmi ilarità o compassione a seconda del soggetto che lo esprimesse. E questo, comunque, è del tipo “reattivo” ossia suscitato da qualcosa o qualcuno che ha prodotto un che di sgradito, grave o estremamente irritante tale da attivare un sentimento di “reazione”, appunto.
Sono molto più preoccupato nel caso in cui, invece, l’odio è rivolto verso una certa categoria di persone, verso un gruppo etnico o verso una comunità di qualsiasi genere o natura. E sì! Mi preoccupa molto di più il tipo “caratteriale” ossia connaturato, se non innato, con l’essere odiatore per nascita o per aver patito psicologicamente traumi o qualche tipo di sofferenza; in sostanza: qualcuno che, poi, odia a prescindere, senza alcuna ragione apparente.
Ora, senza tirare in ballo nessuna forma di giustificazione, devo confessare che queste riflessioni sopra mi sono arrivate spontanee nel momento esatto in cui ho letto le ultime disposizioni riguardanti la “nuova” viabilità (Z.T.L. per intenderci…) del centro storico di Tarquinia.
Se non avessi letto per intero la ridda di ordinanze, delibere e allegati non sarei mai stato in grado di immaginare a quali livelli un’amministrazione può, consapevolmente o meno – tifo sempre per il meno, sia chiaro, per sperare almeno in una ripresa di coscienza – disporre tali e tante ingerenze e difficoltà ad una comunità al punto da rendere l’azione amministrativa qualcosa di simile ad una forma d’odio “caratteriale”, cioè senza ragione, verso la cittadinanza del centro storico tarquiniese, residenti, attività o avventori che siano.
Non riesco, sinceramente, a capire come sia possibile in un tempo già martoriato dalle problematiche createsi con l’avvento del maledetto virus, che per una bizzarra volontà si possa far scempio, a mezzo di torture burocratiche e tutte in una volta, di quel briciolo di civiltà, socialità e umanità sopravvissuta tra le mura secolari.
Non bastava, evidentemente, aggiornare le regole della Z.S.C.. Così come non è bastato spostare una parte del servizio di “Igenio” – già nato sotto cattivi auspici e con un difetto costituzionale di fondo – fuori dal centro storico e, in particolare per una postazione, in luogo estremamente disagevole e pericolosissimo per i residenti obbligati, oltre che a rincorrerlo, pure a scendere le “scalette” da piazza Belvedere (Sant’Antonio). Non bastava neppure chiudere corso vittorio Emanuele e recintare, a mo’ di box per pit-stop riservati, piazza Matteotti.
No, tutto questo non bastava a compensare il desiderio e la smania di “autorità” di un’amministrazione, certamente e legittimamente eletta ma, altrettanto certamente e un po’ meno legittimamente, ben lontana dal bene e dall’amore che si prodiga ad annunciare da ogni dove, per la Città. Ed è straordinario registrare come la spesso evocata città dai “tremila anni di storia”, fiera e feconda generatrice di civiltà, sia ridotta a vivere oggi più di ieri e meno di domani nel più triste dei contrappassi, condannata all’inedia e alla ulteriore desertificazione umana, con le saracinesche chiuse di ex-attività o negli sbadigli degli esercenti sulla soglia dei negozi oltre che nei disagi dei residenti.
Chissà se questo ulteriore regresso costituirà un limite o se, invece, sarà solo un’altra tappa verso la totale disgregazione sociale ed economica del cuore della Città? È questo il disegno fatale a cui, mute e rassegnate, devono assistere le nuove generazioni? A qualcuno, prima o poi, verrà necessario decidere, scegliere e spero, con quell’affetto che mi è rimasto per questo paese, che scelga la civiltà e non l’odio.
Marco Vallesi