Riceviamo da Mariangelo Massi e pubblichiamo
Ci sono molte inesattezze nei racconti sulla liberazione di Tarquinia nel 1944. Innanzitutto, la data: si tratta del 9 giugno e non del 10 o dell’8, come è stato talora erroneamente riferito.
A entrare nella città il giorno 9, in gran parte attraverso Porta Tarquinia, furono truppe americane della 36ª Divisione di fanteria, appartenenti alla Quinta Armata, che scendevano da Tolfa. Viceversa, a sostenere l’onere dello scontro con le truppe tedesche trincerate sul lato destro del Mignone (al Carcarello, Fontana Matta e S. Vincenzo) furono il giorno 8 reparti della 34ª Divisione che venivano da Civitavecchia, attraverso l’Aurelia.
Queste truppe, giunte a Pian d’Organi e Pantano, furono bloccate dal fuoco tedesco proveniente dall’altro lato del fiume e dai tiri di artiglieria sparati da Tarquinia, dai 3 o 4 cannoni installati al Paparello, in parte nelle grotte, alcune delle quali accoglievano centinaia di tarquiniesi sfollati. A questi tiri gli americani risposero con vari colpi che raggiunsero anche il centro storico, provocando danni significativi ma non irreparabili.
È stato riferito che guai maggiori alla città furono evitati grazie a informazioni sull’armamento di cui disponevano i tedeschi fornite agli alleati da partigiani locali. Sta di fatto comunque che nella prime ore della notte gli stessi tedeschi misero fuori uso i cannoni e, approfittando dell’oscurità, abbandonarono il campo. Così la mattina gli americani ebbero via libera per Tarquinia.
La battaglia costituì il primo ostacolo di una certa consistenza all’avanzata degli alleati a nord di Roma, ma notevoli esagerazioni sono state scritte sulle perdite subite (c’è chi ha parlato addirittura di mille morti!). Nella giornata dell’8 giugno la Quinta Armata ebbe complessivamente, compresi quindi i reparti che operavano nel viterbese, 24 morti e 9 il giorno seguente (Fifth Army History, Part VI, Pursuit to the Arno, Pizzi e Pizio, Milano 1945, p. 135. Da questo volume sono tratte la maggior parte delle notizie qui riportate e anche la mappa delle operazioni su Tarquinia).
Ugualmente eccessivo è scrivere, come è stato fatto, che i tedeschi furono uccisi tutti, se è vero che a Mignone ne furono fatti prigionieri circa 150 (Idem, p. 22).
I miei personali ricordi, come sfollato con la mia famiglia, prima a S. Vincenzo, poi in una grotta del Paparello, confermano nelle linee essenziali quanto sopra. Da S. Vincenzo fuggimmo a fine aprile quando arrivarono i genieri tedeschi a impostare e scavare trincee; dalla grotta del Paparello, dove avevamo trovato rifugio, non potemmo invece scappare l’8 giugno quando infuriò la battaglia e i tiri delle due artiglierie ci passavano sopra la testa. Nel cuore della notte tra l’8 e il 9 udimmo alcune botte più grosse delle altre (probabilmente i cannoni che saltavano in aria), poi più nulla. Sapemmo al mattino che i tedeschi s’erano ritirati e che gli americani stavano arrivando.
Insieme a mio padre Corrado ci recammo in piazza e davanti al negozio di Nardi potemmo assistere alla parata dei mezzi blindati americani che scendevano da Via Porta Tarquinia e imboccavano il corso. Poi, in via della Salute ci rendemmo conto con sgomento dei gravi danni subiti dal Cinema Etrusco che apparteneva alla nostra famiglia. Il tetto era sfondato, un proiettile aveva letteralmente percorso via del Convalescentorio Quaglia e aveva sbrecciato una parete dell’edificio a pochi metri d’altezza. Si può constatare che l’asse di questa via porta dritto a Pian d’Organi da dove gli americani avevano presumibilmente sparato.
Potemmo tornare nelle nostre case. La guerra per molti italiani durò ancora quasi un anno, ma per noi era virtualmente finita.