
Riceviamo da Luigi Calandrini e pubblichiamo
È opportuno subito chiarire cosa sono i due acronimi indicati sul titolo: il primo si riferisce al Piano Assetto Idrogeologico mentre il secondo riguarda i Piani Territoriali Paesistici Regionali, entrambi riferiti alla Regione Lazio e quindi di interesse anche per il territorio di Tarquinia.
Questi due “strumenti” – di prevenzione dai rischi idrogeologici a persone e cose il primo – e di tutela del territorio il secondo – sembrano apparentemente non incidere sostanzialmente sull’economia del territorio e sugli interessi di molti cittadini. In effetti l’applicazione dei limiti e delle condizioni in essi contenuti interessano, eccome, molte categorie produttive del territorio quali i proprietari di immobili e di terreni, i tecnici, le agenzie immobiliari le imprese di costruzione, gli studi notarili, oltre tutto l’indotto che ruota intorno alle costruzioni.
Ciò non vuol dire che siano strumenti inutili, tutt’altro, gli sconvolgimenti climatici ed i fenomeni sismici recenti ce ne ricordano l’utilità, se non addirittura la necessità, per la tutela e la sicurezza delle persone e del territorio. Però, c’è un però, bisognerebbe che chi è deputato ad applicare il contenuto di tali strumenti, sia esso la parte tecnica che la parte politica, valutasse con attenzione l’intero contenuto delle norme ad essi riferiti cercando di usare quell’equilibrio necessario a contemperare l’interesse della tutela pubblica con le deroghe in essi contenute (di interesse dei privati cittadini) che creano il giusto equilibrio delle due parti in gioco. E cercherò di spiegarmi meglio.
Riguardo al PAI, le norme che regolano gli interventi allo strumento di programmazione, contengono delle deroghe alla disciplina generale, come nel caso degli interventi da eseguire nei comprensori di edilizia consolidata (a seguito dell’approvazione di strumenti attuativi antecedenti all’entrata in vigore del Piano stesso) per i quali l’art. 3 (Effetti giuridici) punto 4. ultimo capoverso delle Norme di Attuazione, stabilisce la non assoggettabilità al piano di tali comprensori (Marina Velca, lido di Tarquinia e zona commerciale/artigianale).
Ebbene nonostante ciò, sono anni che permane in capo agli organi comunali il dubbio sulla sua applicazione senza che si sia mai provveduto a fare incontri con gli enti regionali competenti per dirimerli. La conseguenza è la paralisi degli interventi nei territori interessati da tali norme.
Altra circostanza, si rileva su quei territori – sempre gravati da vincoli PAI – che inibiscono la possibilità di eseguire lavori di modificazione del suolo attraverso opere di natura edilizia ma che sono stati oggetto di interventi regionali di mitigazione del rischio. Ciò significa che alla conclusione di lavori quali: la realizzazione delle sponde del fiume Marta ormai completata da anni, o la messa in sicurezza del fosso “scolo dei Giardini”, non è mai seguita una concreta revisione che individuasse la nuova classe di minor rischio che avrebbe potuto consentire interventi altrimenti negati. È vero che tali incombenze sono in capo alle autorità regionali ma credo che una messa in mora da parte del Comune avrebbe potuto stimolare gli uffici regionali a rimuovere tali inadempienze.
Passando al P.T.P.R., gli addetti ai lavori conoscono l’esistenza delle tavole S, facenti parte del piano stesso, attraverso le quali l’autorità regionale ha dato la possibilità ai comuni di chiedere l’esclusione di alcune porzioni di comprensori edificati del territorio comunale dall’assoggettabilità al Vincolo Paesaggistico. In particolare la Regione Lazio ha individuato dette porzioni sul nostro territorio nelle zone di Marina Velca Pian di Spille e Voltone, lido di Tarquinia e centro abitato. Sapete cosa avrebbe significato l’attuazione di tale previsione? Molto sinteticamente; tutti gli interventi edilizi in tali aree non avrebbero più necessitato della preventiva acquisizione dell’Autorizzazione Paesaggistica con enormi risparmi in termini economici e di tempistica nell’approvazione delle pratiche edilizie.
Ma vi è di più, tutti i condoni edilizi riferiti all’ultimo condono (2003/2004) ricompresi in aree non più vincolate in forza di tale norma avrebbero potuto essere accolti positivamente dall’Amministrazione Comunale in quanto non più in contrasto con le disposizioni Ministeriali. Così come quelli istruiti con parere negativo potevano sperare in una revisione con la conseguenza di non dare attuazione alle conseguenti ordinanze di demolizione tanto frustranti per i proprietari e tanto inique rispetto ai titolari di abusi eseguiti su aree libere dal vincolo.
Queste schematiche considerazioni per dimostrare quanto una attenta lettura dei provvedimenti che gli enti sovracomunali emanano, unita ad una maggiore disponibilità al dialogo ed all’ascolto da parte di che è deputato a ciò, sarebbero sufficienti a migliorare il rapporto ente-cittadino e sgravare gli addetti ai lavori da inutili quanto gravosi procedimenti dall’incerta conclusione.
