Ciao Bì,
ero indeciso se scriverti e pubblicare ‘sta cosa, poi la pioggia ha deciso che stasera non fa giocare la finale nella serata tua e mi ha convinto del tutto: oggi è il 29 e in qualche maniera mi va di ricordarti, anche se per il minuto di silenzio e la premiazione del tuo torneo dovremo aspettare domani. Pioggia permettendo.
Un giorno in più, proprio nell’ultimo anno: come se il tempo ci voglia far pensare al fatto che, domani sera, quando i vincitori alzeranno la coppa, sarà l’ultima volta che ci riuniremo alla Lanterna per il tuo Memorial. E anche se è giusto così, anche se quasi tutti sentiamo che è ora di chiudere un ciclo bellissimo lungo 16 anni, questo giorno – il tuo giorno – che passa senza l’attesa della partita e della premiazione pesa un po’ di più. Ci mancherà, l’estate prossima, alzarci in piedi per ricordarti tutti assieme, divertirci guardando in campo sia gli stessi amici con cui hai condiviso il campo che i ragazzi che hanno imparato a conoscerti giocando il torneo.
L’idea di scrivere questa cosa l’ho avuta qualche giorno fa: Vincenzo Nibali ha vinto il Tour ed il TG diceva che non accadeva dai tempi di Marco Pantani, sedici anni fa. È stato un attimo, una sensazione, quei collegamenti che la testa fa in un istante per farti sentire quanto tempo sia passato. Il 29 luglio del 1998 sulla Gazzetta dell Sport c’era la faccia di Marco Pantani in maglia gialla, e quel pomeriggio c’era la tappa decisiva che poi gli ha assegnato la vittoria finale. Io, quel giorno, ero all’Aquafelix, e di quanto successo sino al ritorno a casa non ricordo nulla o quasi: solo l’altro giorno, in quel momento, m’è tornato in testa di come, salendo le scale di casa senza che ancora sapessi nulla, non vedessi l’ora di conoscere l’esito della tappa. Da quando ho aperto la porta in poi, invece, ho sempre ricordato tutto: la casa buia che già da sola diceva tutto, i miei seduti sul divano, un giro col motorino per correre verso il mare, lì dove tutto era successo. Ricordo che non riuscivo a piangere, non ci sono riuscito per mesi, fino a una sera al mare che ormai era autunno.
È tutto così netto che, davvero, sedici anni sembrano troppi. Ma il tempo e la memoria sono anche generosi e man mano, con la distanza, provano a stemperare i momenti di dolore e a ritirare fuori quelli che, nonostante quello che era successo e succedeva, posso ricordare con affetto. Tipo quella sera quasi surreale, la notte prima del tuo funerale, in cui tutti assieme, parenti e qualche amico, siamo stati sino a tardi al negozio di fiori di Erika e Sabina a preparare tutto quello che serviva, il giorno dopo, per salutarti; o la confusione del giorno dopo, con tanta tanta gente, mentre camminavamo in corteo e c’erano tanti fiori a ricordarti e a ricordare che bella persona che eri.
Se c’è una cosa che, di preciso, non riesco a ricordare, invece, è quand’è l’ultima volta che t’ho visto: ne ho due o tre, di immagini in testa, tutte di quell’estate giù al mare. Chissà quand’era l’ultima volta che avevamo parlato. Alla fine ricordarlo o meno non è un problema: io con te c’ho parlato più negli ultimi sedici anni che nei diciotto prima. E tanto, tanto di quello che sono oggi dipende da te, da quei giorni, da questi sedici anni vissuti ricordandoti con un affetto enorme.
Mi spiace non essere arrivato a giocare il 29 nemmeno quest’anno, che era l’ultima occasione: ma sai quanto avrei rosicato se, una volta che ci riesco, la pioggia m’avesse fatto giocare il 30? Scherzi a parte, qualsiasi sia la data, quella premiazione sarà un momento speciale non solo per chi vincerà, ma per tutti quelli che ti hanno voluto e ti vogliono bene. Perciò, Fabrì, grazie di tutto. Anche per l’emozione che ci darai domani sera.
Con affetto
Stefano