di Anna Alfieri
Le Viperesche non erano e non sono, come potrebbe sembrare a noi tarquiniesi dialettali, i componenti anche maschili di un’antica famiglia nostrana o gli attuali e vivaci frequentatori di Palazzo Vipereschi in via Garibaldi. E nemmeno quei loschi individui che, provvisti di lingua serpentina e biforcuta, stanno spesso in agguato negli angoli bui della nostra città.
Le Viperesche erano, invece, povere fanciulle romane, orfanelle sfortunate, ragazze sedotte e abbandonate, giovani vedove, zitelle di qualche speranza, tutte piamente accolte nel Conservatorio dell’Immacolata Concezione presso l’Arco di San Vito all’Esquilino di Roma, fondato nel 1688 da Livia Vipereschi, cornetana severa e benefica, considerata dai cronisti dell’epoca una delle dame più autorevoli della città papalina e barocca del XVII secolo. In quel Conservatorio le ragazze ricevevano una “perfetta educazione cristiana e morale atta a nobilitare il loro animo e ad acquistare l’attitudine alle cure domestiche”. Poi, provviste di un’appetibile dote in denaro proveniente da Corneto, venivano maritate con scapoli o vedovi di buona famiglia e di specchiata onestà, ordinatamente iscritti in una lunga lista d’attesa sempre affollata. In alternativa venivano monacate, ovviamente con il caldo conforto della loro rispettabile dote.
Tutto questo nacque dall’appassionata storia d’amore di Livia e di Valerio de’ Principi Massimo all’Aracoeli, suo cugino da parte materna e suo promesso amatissimo sposo. Una storia dall’epilogo triste, perché il giovane principe morì improvvisamente alla vigilia delle nozze e Livia, straziata dal dolore, per dedicare tutta se stessa alla cura delle ragazze infelici come lei, decise di diventare la sposa di Nostro Signore Gesù. Mistiche nozze, connotate da “lunghe estasi et altissime contemplazioni in cui Dio soavemente l’abbracciava e la baciava in perfettissimi atti d’amore ne’ quali lei si consumava tutta in lacrime e dolcezze. E quanto più erano abbondanti le lacrime, tanto maggiore era il suo godimento”.
Parole, queste e molte altre ancora più infiammate e vertiginose, che io non avrei mai saputo, o osato, scrivere spontaneamente e che ho perciò estratto da un libro settecentesco: “La Vita della Signora Livia Vipereschi Nobile Vergine Romana. Opera ascetica et historica raccolta dai ragguagli che la Medesima scrisse di sé per obbedienza”. Un librone di 260 pagine e – ahimè – di non riposante lettura, ricavato dalle lettere e dai diari in cui Donna Livia annotava giorno per giorno tutti gli eventi della sua vita, comprese le visioni divine e gli ingenui miracoli che lei credeva di compiere. Finché, nel 1673, consumata dai tormenti e dalle estasi della sua castità esaltata e contemporaneamente repressa, la Signora morì, lasciando alle ragazze del suo Conservatorio l’intero patrimonio viperesco che solo a Corneto comprendeva le grandi terre del Terzolo, di Pian d’Organi, di Bagnoli, di Vallilarda e di Punta di Spilla. Con la morte di Livia i Vipereschi si estinsero.
I Vipereschi erano apparsi in Corneto alla fine del XV secolo e avevano subito occupato, con Jacomo e Antoniuccio, posizioni di grande prestigio all’interno della nostra comunità. E Lituardo, il loro bel Lituardo, nel 1509 ben figurò tra i dodici giovanetti che ebbero l’onore di offrire rami d’olivo a Giulio II che arrivava in città. Ma il loro eroe più eroe, e forse l’eroe più eroe di Corneto rinascimentale, fu Vipereo Vipereschi, Cavaliere di Malta dal nome imperioso e terribile che, nel 1535, morì durante l’assedio di Tunisi combattendo valorosamente contro l’Ammiraglio turco-ottomano Khayr al-Din, passato alla storia come il feroce corsaro Barbarossa che, al comando di una grande flotta affidatagli da Solimano il Magnifico, infuriò nel Mediterraneo occidentale devastandone le coste cristiane. La battaglia fu vinta e Corneto onorò la morte di Vipereo erigendo per lui un monumento funebre all’interno della Chiesa di San Marco. Monumento svanito nel nulla, travolto dalla maledizione che negli ultimi secoli ha perseguitato, violentato e snaturato la chiesa che lo conteneva, ancora oggi ridotta a surreale spazio vuoto destinato ad ospitare un fantomatico teatro irrisolto.
Dopo la morte di Vipereo, i Vipereschi si trasferirono a Roma in un grande palazzo che ancora porta su un capitello una strana immagine quasi diabolica che ricorda lo stemma nostrano costituito da tre draghi alati (viper) d’argento con banda d’azzurro su fondo di rosso. Un bell’edificio, tuttora noto come Palazzo Vipereschi Capranica Del Grillo. Del Grillo come il bizzarro Marchese Onofrio di cinematografica fama che, realmente esistito, ne fu, un tempo, anche lui proprietario. Eppure, ciò che mi riempie di autentico orgoglio patriottico è il fatto che proprio a Palazzo Vipereschi di nostrana memoria, nel 1791 nacque Giuseppe Gioachino Belli, immenso poeta di Roma.
E il Conservatorio di Donna Livia cornetana? Ebbene, il Conservatorio della Santissima Immacolata Concezione di Maria, fondato da Donna Livia cornetana ancora esiste e, affidato alle Pie Discepole del Redentore, funge da pensionato per studentesse universitarie fuori sede. Ignare ragazze che i romani de Roma, forse non sapendo nemmeno perché, continuano imperterriti a definire VIPERESCHE.