Prosegue su lextra la rubrica curata da Vittoria Tassoni, la cui passione per la cucina – già intuibile dagli articoli che pubblicati su questo portale – diventa evidente sul proprio sito internet vittoriaincucina.it.
Questa volta parliamo di pere volpine, mele cotogne, corbezzoli e prugne selvatiche. La pera volpina è una pianta con elevato portamento, la produzione è elevata e in tempi antichi era molto spesso utilizzata per sostenere i filari delle viti. Si tratta di un frutto piccolo e maturo a grappoli, con polpa croccante di color ruggine; esteticamente non bello, ma ricco di vitamine e sali minerali, aspro e tanico (per questo occorre cuocerlo in acqua o vino per poterla gustare al meglio). Tipica delle colline romagnole, la pera volpina si raccoglie in autunno ed è un frutto antico che cresce spontaneo. Il suo nome molto probabilmente è legato al colore che ricorda il colore del manto delle volpi, che si dice ne fossero ghiotte, o dalla deformazione del nome “poppina”. La pera volpina va consumata cotta, in acqua o ancor meglio nel vino aggiungendo spezie, zucchero, alloro. È stata per tanto tempo uno degli ingredienti del “savor” confettura casalinga a base di mosto appena spremuto e arricchito da frutti autunnali dimenticati, disponibili nelle case e senza una dose specifica. Da queste pere, per chi ama l’agrodolce, si ottiene una salsa per accompagnare bolliti, carni rosse e arrosti.
Le mele cotogne: si tratta di un albero della famiglia delle rosacee, che raggiunge vari metri di altezza ma non è molto comune. Le cotogne si distinguono in due categorie: mele cotogne o pere cotogne dalla forma più allungata. Contengono tannino, ma anche vitamina C, sono ricche di pectina e hanno gradevoli profumi ed odori. Si utilizzano per lo più per la quantità di pectina per fare gelatine, confetture, cotognata, ratafià, cotte al forno; per la confettura si lavano, si toglie la peluria di cui sono coperte e si tagliano in quattro spicchi eliminando il torsolo: farle cuocere finche non tendono a disfarsi (circa 3-4 ore). Nella confettura si possono aggiungere spezie, cannella, chiodi di garofano, uva passa, noci o pinoli. Si utilizza nella mostarda.
Il corbezzolo è un arbusto sempre verde, vigoroso; cresce spontaneo nella macchia mediterranea. I frutti, non molto considerati, sono simili ad una fragola: da qui il nome anche di cerasa marina. Maturano nel tardo autunno, la polpa è gialla e leggermente acidula. Contengono vitamine, acidi, zuccheri e pectina. Nella pianta si trovano in contemporanea i frutti e i fiori che fruttificheranno l’anno successivo donando un gradevole profumo che attira le api, creando un pregiato miele monoflora di corbezzolo. Il fatto di avere in contemporanea frutti e fiori ha conferito alla pianta fama religiosa, festosa, mitica e leggendaria. I corbezzoli si consumano al naturale ma si possono anche fare sotto spirito o farne confetture. Dai corbezzoli si ottiene anche un distillato se lavorato come le ciliegie e cioè una particolare acquavite alla quale vengono attribuiti proprietà euforizzanti.
Prugnole o susine selvatiche sono prodotte da un arbusto che cresce fino a 3 metri e fa parte della famiglia delle rosacee. Il frutto è una bacca rotonda, di color azzurro violaceo quando è matura. Cresce sui pendii soleggiati e ai margini dei sentieri. Contengono tannino, flavonoidi, acido malico, saccarosio, pectina, gomma e vitamina C. Mangiate fresche devono essere ben mature altrimenti sono troppo astringenti, invece si possono utilizzare per fare del liquore, oppure delle confetture, in aggiunta di altra frutta previa breve cottura.
Queste mie descrizioni hanno un significato profondo, quasi antropologico, di memoria dell’uomo e della sua relazione con gli alberi e i loro frutti. Dedicare uno spazio ai frutti antichi, spesso sinonimo di frutti dimenticati, vuole essere un’occasione per stimolare la curiosità di chi, quegli alberi, non li ha mai conosciuti prima d’ora. Alberi che, oltre ad avere un valore culturale e simbolico, sono testimoni dell’importanza della biodiversità nelle specie. Un percorso, dunque, di recupero della memoria e delle tradizioni. Un invito a rieducare gli occhi e i palati alle complessità dei gusti e delle forme differenti, concedendoci il tempo della lentezza per immergerci in un vero e proprio percorso sensoriale.