L’Accademia della Crusca omaggia la Tuscia: la parola “gojo” pronta a entrare nei vocabolari

Ad una manciata di settimane dalla scelta dell’Accademia della Crusca di “sdoganare” – ma solo nell’uso colloquiale – l’uso transitivo dei verbi sedere, salire, uscire ed entrare (“scendi il cane”, ad esempio), l’istituzione per antonomasia di linguistica e filologia della lingua italiana oggi diffonde una notizia che in qualche modo omaggia la Tuscia, Tarquinia inclusa.

L’Accademia ha, infatti, ammesso alcune parole nuove nell’uso comune e corretto della lingua italiana, e tra queste c’è un termine arcinoto e quasi esclusivo del parlato viterbese: “gojo”.

Matto, folle, divertente, ma anche sconsiderato, simpatico, perfino pericoloso: questa la traduzione da dizionario che la Crusca fa della parola, il cui senso – come detto assolutamente territoriale, per alcuni addirittura legato alle passate influenze francesi – è difficilmente riportabile con sinonimi.

Il gojo, infatti, descrive sia chi dice cose simpatiche che chi si avventura in situazioni pericolose, spesso senza troppo raziocinio, – “Ma che sei gojo?” – a volte persino arriva ad indicare la difficile utilità di una persona per un’impresa o in ambito sociale: “Ma chi, quello? Occhio che è un gojo!”.

Una parola, insomma, che è quasi la descrizione di una filosofia di vita: dall’innocenza alla follia, dall’istinto all’originalità e la spensieratezza, ma anche le azioni incomprensibili, il distacco della mente. Il gojo, un po’ come il Matto dei Tarocchi, è simbolo dell’irrazionalità dell’uomo, che può condurlo sia nel bene che nel male alla ricerca di cambiamenti seguendo un percorso istintivo e spontaneo fatto di gioia di vivere, sregolatezza, sogni ad occhi aperti. Sfociando spesso anche nella follia, nell’alienazione dalla realtà, nel restare confinati nel proprio mondo interiore.

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Naturalmente, per chi non l’avesse capito, la notizia è un Pesce d’Aprile: anche perchè, forse, proprio nell’esclusività territoriale è la magia di questa parola!