di Francesco Rotatori
Parlare dell’età di Sisto V, nato Felice Peretti Montalto ed eletto al soglio pontificio il 24 aprile 1585, equivale a discutere della ristrutturazione urbanistica della città di Roma, a ricordare la costruzione dell’acquedotto dell’Acqua Felice, a sottolineare un particolare periodo della storia mondiale fervido di paradossi e ossimori noto come Controriforma.
Ma mecenatismo papale significa anche commissioni di opere d’arte e in particolare possiamo definire l’avvento al potere di Felice come l’inizio di un febbricitante eppure minuto arco temporale (dal 1585 al 1590) in cui l’intera capitale fu disseminata di differenti cantieri pittorici, dal Vaticano- la Biblioteca Sistina e il voltaggio della cupola di San Pietro- alla Basilica di Santa Maria Maggiore- la Cappella del Presepe-.
Uno dei maggiori interventi pontifici si ebbe nella demolizione e ricostruzione del patriarchio lateranense e nella conseguente ricollocazione della Scala Santa- che la leggenda vuole essere la stessa scalinata del palazzo di Pilato percorsa da Cristo-, la cui struttura, dotata di due cappelle in sommità e di un gruppo di scale laterali per favorire la discesa, fu decorata nell’arco di pochissimi mesi, tra il 1587 e il 1588.
Purtroppo il tempo, la noncuranza e la secondaria importanza delle pitture hanno fatto assumere a questi luoghi un aspetto tetro e scialbo. Tuttavia i restauri condotti a partire dal 2013 hanno permesso di riscoprire i colori tenui e le varie mani pittoriche che si sono affiancate nella realizzazione di questi affreschi.
In fondo aveva ragione Maurizio Calvesi quando, a introduzione de I pittori di Sisto V di A. Zuccari, assimilava quegli esecutori ai <<gatti del proverbio, che di notte sono tutti bigi>>, in quanto a lungo i fumi dei ceri e delle funzioni hanno negato la possibilità di associare con sicurezza un nome a ciascun frammento dipinto. Certo studi ne sono stati condotti, ma la ripulitura ora ci concede di poter distinguere addirittura i segni del pennello e di poter assegnare con una maggiore convinzione una porzione a uno di questi artisti. Abbiamo perciò riscoperto le tinte di alcuni paesaggi al limite del fiabesco di Paul Bril, il volto del pontefice ritratto come effige di San Silvestro tra le rappresentazioni allegoriche della Religione e della Chiesa, il loculo in prospettiva ardita sulla sommità della cappella di San Silvestro.
Ora attendiamo notizie sorprendenti dalla pulizia che comprenderà i muri affrescati delle scalinate con scene a losanga, con forma e funzione di indicatore di scorrimento, quindi in ascesa nella centrale e in discesa in quelle laterali. Magari potremmo trasformare le ipotesi di attribuzione finora proposte in teorie più avanzate e supportate da una visione più nitida.
Questi piccoli brani, che non sono stati eseguiti che da personaggi minori sotto la guida dei due “capi”, Cesare Nebbia da Orvieto e Giovanni Guerra da Modena, rappresentano in fin dei conti una frazione della nostra storia, quella più segreta e aneddotica.