Riceviamo e pubblichiamo
La popolazione residente attesa per l’Italia è stimata pari, secondo lo scenario mediano, a 58,6 milioni nel 2045 e a 53,7 milioni nel 2065. La perdita rispetto al 2016 (60,7 milioni) sarebbe di 2,1 milioni di residenti nel 2025 e di 7 milioni nel 2065. Tenendo conto della variabilità associata agli eventi demografici, la stima della popolazione al 2065 oscilla da un minimo di 46,1 milioni a un massimo di 61,5. La probabilità di un aumento della popolazione al 2065 è pari al 7%.
Nello scenario mediano, mentre nel Mezzogiorno il calo di popolazione si manifesterebbe lungo l’intero periodo, per il Centro-nord, superati i primi trent’anni di previsione con un bilancio demografico positivo, un progressivo declino della popolazione si compierebbe soltanto dal 2045 in avanti. La probabilità empirica che la popolazione del Centro-nord abbia nel 2065 una popolazione più ampia rispetto a oggi è pari al 31%, mentre nel Mezzogiorno è pressochè nulla.
Appare dunque evidente uno spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-nord del Paese. Secondo lo scenario mediano, nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 71% di residenti contro il 66% di oggi; il Mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29% contro il 34% attuale.
Le future nascite non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi. Nello scenario mediano, dopo pochi anni di previsione il saldo naturale raggiunge quota -200mila, per poi passare la soglia -300 e -400mila unità in meno nel medio e lungo termine.
La fecondità è prevista in rialzo, da 1,34 a 1,59 figli per donna nel periodo 2016-2065 secondo lo scenario mediano. Tuttavia, l’incertezza aumenta lungo il periodo di previsione. L’intervallo di confidenza proiettato al 2065 è piuttosto alto e oscilla tra 1,25 e 1,93 figli per donna.
La sopravvivenza è prevista in aumento. Entro il 2065 la vita media crescerebbe fino a 86,1 anni e fino a 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne (80,1 e 84,6 anni nel 2015). L’incertezza associata assegna limiti di confidenza compresi tra 84,1 e 88,2 anni per gli uomini e tra 87,9 e 92,7 anni per le donne.
Nella stima della popolazione residente attesa per l’Italia un contributo determinante è esercitato dalla previsione delle migrazioni con l’estero. Il saldo migratorio con l’estero è previsto positivo, essendo mediamente superiore alle 150mila unità annue (133mila l’ultimo rilevato nel 2015) seppure contraddistinto da forte incertezza. Non si esclude l’eventualità, ma con bassa probabilità di concretizzarsi, che nel lungo termine esso possa diventare negativo.
Il saldo naturale della popolazione trae parziale sollievo dalle migrazioni. Nello scenario mediano l’effetto addizionale del saldo migratorio sulla dinamica di nascite e decessi comporta 2,5 milioni di residenti aggiuntivi nel corso dell’intero periodo previsivo.
Le migrazioni interregionali favoriranno ancora il Centro-nord, ma seguiranno un’evoluzione di leggero declino man mano che le generazioni di giovani e adulti, le più interessate ai movimenti migratori, tenderanno numericamente a ridursi.
L’età media della popolazione passerà dagli attuali 44,7 a oltre 50 anni del 2065. Considerando che l’intervallo di confidenza finale varia tra 47,8 e 52,7 anni, il processo di invecchiamento della popolazione è da ritenersi certo e intenso.
Parte del processo di invecchiamento in divenire è spiegato dal transito delle coorti del baby boom (1961-75) tra la tarda età attiva (40-64 anni) e l’età senile (65 e più). Il picco di invecchiamento colpirà l’Italia nel 2045-50, quando si riscontrerà una quota di ultrasessantacinquenni vicina al 34%.
Calo progressivo della popolazione, fino a 53,7 milioni di residenti nel 2065
Sulla base dello scenario di previsione “mediano” la popolazione residente è prevista in lieve decrescita nel prossimo decennio: da 60,7 milioni al 1° gennaio 2016 (punto base delle previsioni) a 60,4 milioni nel 2025 per un tasso di variazione medio annuo pari al -0,5 per mille. In una prospettiva di medio termine, invece, la diminuzione della popolazione risulterebbe già molto più accentuata: da 60,4 milioni a 58,6 milioni tra il 2025 e il 2045, pari a un tasso di variazione medio annuo che, triplicandosi rispetto a quello della prima fase, si porta al -1,5 per mille. E’ nel lungo termine, tuttavia, che le conseguenze della dinamica demografica prevista nello scenario mediano sulla popolazione totale si fanno più importanti. Tra il 2045 e il 2065, infatti, la popolazione diminuirebbe di ulteriori 4,9 milioni, registrando una riduzione medio annua del 4,4 per mille. Sotto tale ipotesi la popolazione totale ammonterebbe a 53,7 milioni nel 2065, conseguendo una perdita complessiva di 7 milioni di residenti rispetto a oggi.
Le previsioni demografiche sono, per definizione e costruzione, incerte e tale caratteristica è tanto più rilevante quanto più ci si allontana dall’anno base. La futura evoluzione della popolazione totale rispecchia in pieno tale principio di elevata incertezza già dopo pochi anni di previsione. Nel 2025 l’intervallo di confidenza al 90% della popolazione totale (ovvero che il suo presunto valore cada tra due estremi con probabilità pari al 90%) oscilla tra 59,8 e 61 milioni. Venti anni più tardi è tra 54,9 e 58,6 milioni mentre al termine del ciclo previsivo la forchetta va da 46,1 a 61,5 milioni di residenti. Così, se dal lato meno favorevole la popolazione potrebbe subire una perdita di 14,6 milioni tra il 2016 e il 2065, dall’altro non è nemmeno esclusa l’ipotesi di un suo possibile incremento, sebbene di modesta entità (+800mila). Pur in un quadro di profonda incertezza rispetto a quello che si prospetta essere la sua futura entità numerica, risulta altamente probabile che la popolazione andrà incontro a una progressiva diminuzione. Infatti, sebbene non sia esclusa l’eventualità che la dinamica demografica possa condurre a una popolazione nel 2065 più ampia di quella odierna, la probabilità empirica che ciò accada è piuttosto bassa risultando pari al 7% (percentuale di casi favorevoli all’evento sul totale delle simulazioni condotte).
Nello sviluppo previsto per il Centro-nord e per il Mezzogiorno le dinamiche della popolazione risultano inizialmente contrapposte. Secondo lo scenario mediano nel breve termine si prospetta che Nord-ovest (+0,6 per mille annuo fino al 2025), Nord-est (+0,7) e Centro (+1,1) possano godere di una variazione medio annua positiva mentre per Sud (-2,9) e Isole (-3) si prospetta fin da subito un calo della popolazione. Nel periodo intermedio di previsione (2025-2045) Nord-ovest, Nord-est e Centro affrontano una sostanziale stazionarietà mentre nel Sud e nelle Isole il calo demografico subisce un’ulteriore accelerazione nella misura di un -4,8 per mille annuo. Nel lungo termine (2045-2065) il bilancio demografico negativo di queste due ripartizioni tende a farsi ancor più rilevante. Il ritmo annuo di diminuzione passa al -8,3 per mille nel Sud e al -7,9 per mille nelle Isole. Nel 2065 i residenti risulterebbero pari a 10,6 milioni nel Sud e a 5,1 nelle Isole, ben un quarto in meno per entrambe rispetto a oggi. Il Centro-nord, superati i primi trent’anni di previsione con un bilancio demografico positivo, conoscerebbe anch’esso, dal 2045 in avanti, un progressivo declino della popolazione: del -2,4 per mille all’anno nel Nord-ovest, del -3 per mille nel Nord-est e del -2,8 per mille nel Centro. A conclusione del ciclo previsivo anche in queste ripartizioni risiederebbe un numero inferiore di individui rispetto a oggi: 15,5 milioni nel Nord-ovest, 11 milioni nel Nord-est e 11,5 milioni nel Centro.
L’evoluzione della popolazione totale nelle ripartizioni geografiche è contrassegnata da una profonda incertezza. Per il Centro-nord tale incertezza si traduce nell’impossibilità di poter determinare con sicurezza la direzione del cambiamento demografico, se cioè orientato alla crescita, come indicato dai limiti superiori dell’intervallo di confidenza al 2065, ovvero alla decrescita guardando a quelli inferiori. La popolazione prevista nel Nord-ovest al 2065, ad esempio, è compresa in un intervallo che va da 13,1 a 17,9 milioni, ossia tra due valori rispettivamente ben al di sotto e al di sopra di quello nell’anno base. Inoltre, nonostante che lo scenario mediano indichi come più probabile una popolazione del Nord-ovest in diminuzione nel lungo termine, la probabilità empirica che la popolazione di tale ripartizione abbia un completo cammino di crescita è pari al 33%. Analoghe considerazioni valgono anche per il Nord-est e per il Centro, con probabilità empiriche di crescita della popolazione pari, rispettivamente, a 31 e 26% (solo 7% a livello nazionale).
In nessun caso, al contrario, si potrebbe verificare che le popolazioni del Sud e delle Isole possano intraprendere un percorso di crescita. Appare certa, in altri termini, una loro riduzione ma con margini di variazione abbastanza ampi: tra 9,3 e 11,9 milioni i residenti previsti nel Sud al 2065, tra 4,5 e 5,7 milioni quelli nelle Isole. Ciò che risulterebbe altamente probabile, invece, è un progressivo spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-nord del Paese. Secondo lo scenario mediano, ad esempio, nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 70,8% dei residenti contro il 65,6% di oggi, il Mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29,2% contro il 34,4%.
Con elevata probabilità le future nascite non potranno compensare i futuri decessi
Gli scenari previsivi di nascite e decessi misurano una evidente tendenza a registrare annualmente saldi negativi per il movimento naturale della popolazione.
Sulla base dello scenario mediano, la prospettiva di un pur parziale recupero della fecondità (da 1,34 figli per donna nel 2016 a 1,59 entro il 2065) non basterà a determinare un numero di nati che risulti, anno dopo anno, sufficiente a compensare l’aumentato numero di defunti. Nel breve termine le nascite dovrebbero diminuire fino a 458mila unità annue entro il 2025 mentre parallelamente i decessi tendono a salire fino a 671mila.
Nella parte centrale delle previsioni le nascite si stabilizzano intorno al valore medio annuo di 459mila, con un lieve picco di risalita nel 2035-2039 intorno alle 463mila unità, periodo dopo il quale ridiscenderebbero fino a 449mila entro il 2045.
Nel medesimo periodo i decessi, sotto la spinta del progressivo invecchiamento della popolazione, continuerebbero a crescere da 671 nel 2025 a 768mila nel 2045. Nel lungo termine, infine, le nascite continuerebbero a scendere per poi assestarsi attorno a una media di 422mila annue nel 2055-2065. Per i decessi, invece, continuerebbe a registrarsi una costante crescita fino a un massimo di 852mila unità nel 2058. Dopo tale anno, via via che andranno a estinguersi le generazioni del baby boom nazionale, il numero di decessi diminuirebbe fino a 821mila entro il 2065.
A meno di un qualche significativo cambiamento del contesto globale, pertanto, la futura evoluzione demografica appare in gran parte definita. Le ipotesi riguardo al comportamento demografico futuro della popolazione possono soltanto attenuare (o accelerare) le tendenze in corso ma non modificarle in modo sostanziale. Da un lato si assisterà a una progressiva riduzione numerica delle coorti di donne in età feconda (14-50 anni), dall’altro si assisterà a coorti di popolazione in età anziana (65 anni e più) sempre più infoltite dalle positive condizioni di sopravvivenza presenti e future (86,1 e 90,2 anni, rispettivamente, la vita media maschile e femminile prevista entro il 2065).
Dalla relazione “meno madri potenziali/meno nascite”, anche se con fecondità in aumento, e da quella “più individui in età anziana/più decessi”, scaturisce così l’instaurarsi di un saldo naturale (nascite – decessi) negativo che tenderà ad assumere dimensioni sempre più rilevanti. Già dopo pochi anni di previsione lo scenario mediano ipotizza che il saldo naturale possa oltrepassare le 200mila unità in meno (2023), per quindi oltrepassare la soglia delle 300 e delle 400mila (rispettivamente, entro il 2044 e il 2053). In termini relativi, il tasso di de-crescita naturale passerebbe dal -2,2 per mille nell’anno base al -7,4 per mille nel 2055, anno dopo il quale si stabilizza.
In tale contesto sarebbero soprattutto il Sud e le Isole a subire la decurtazione per movimento naturale più importante, fino a sotto il -10 per mille nel 2065. Nonostante condizioni meno favorevoli in partenza rispetto al Mezzogiorno, il saldo naturale nel Centro-nord presenta un’evoluzione più vantaggiosa ma pur sempre negativa. La dilatazione della forbice tra nascite e decessi cresce fino al 2055 per poi stabilizzarsi nel caso del Centro (-7 per mille entro il 2065) o per attenuarsi da quel momento in avanti per Nord-ovest e Nord-est (rispettivamente, -5,8 e -6,5 per mille entro il 2065).
Il margine di incertezza legato alle previsioni di nascite e decessi, pur non modificando il quadro di fondo sopra descritto, aumenta nel tempo e soprattutto per le prime. Nel caso delle nascite ciò si deve a due ragioni specifiche. L’intervallo di confidenza proiettato per la fecondità è oggettivamente alto, tra 1,25 e 1,93 figli per donna entro il 2065. Esso, cioè, oscilla tra una visione di fecondità stabilmente più bassa di quella odierna e una che tende quasi al livello di sostituzione delle generazioni. Inoltre, man mano che ci si allontana nel futuro, i livelli di fecondità sono applicati a coorti di donne a loro volta proiettate. Le previsioni contemplano, cioè, nati da madri che a loro volta devono ancora nascere. Per i decessi tali valutazioni valgono solo in parte. Gli intervalli di confidenza proiettati al 2065 per le probabilità di morte sono anch’essi ampi (tra 84,1 e 88,2 anni la speranza di vita alla nascita degli uomini, tra 87,9 e 92,7 quella delle donne) ma queste impattano nel tempo nei confronti di individui che, al netto delle future nascite e dei movimenti migratori, sono largamente già in vita oggi.
Le migrazioni interregionali favoriranno ancora il Centro-nord
Un’ulteriore componente demografica presa in considerazione nelle previsioni è quelle delle migrazioni interregionali (trasferimenti di residenza tra regioni diverse), una fondamentale voce del bilancio demografico, per via della funzione di redistribuzione della popolazione tra le diverse aree del Paese.
In base allo scenario mediano si prevede che le migrazioni interregionali possano arrivare alla ragguardevole cifra di 14,7 milioni nel corso del periodo previsivo. Muovendo da un livello iniziale simile a quello riscontrato negli ultimi anni, circa 330mila unità, si prevede tuttavia che le migrazioni interregionali possano orientarsi a una tendenza di lieve ma costante declino della loro consistenza, fino a un valore di 260mila trasferimenti annui entro il 2065. La ragione di fondo, sottostante tale assunto declino, trova principale spiegazione nel progressivo invecchiamento della popolazione, nell’ipotesi in cui il profilo migratorio per età non si trasformi radicalmente e continui a interessare soprattutto individui in età giovanile-adulta (25-39 anni), la cui consistenza tende a diradarsi negli anni.
Aldilà di quanto si prospetta nello scenario mediano va ricordato, anche in questa circostanza, come il livello di incertezza associato alle previsioni sulle migrazioni interregionali sia tutt’altro che irrilevante. Nell’ipotesi di massima intensità i trasferimenti potrebbero mantenersi, pur riducendosi nel tempo, ben sopra il livello delle 300mila unità annue. All’opposto, questi potrebbero ulteriormente ridursi fino a 215mila unità annue entro il 2065.
A beneficiare maggiormente dei flussi migratori interni risulterebbe soprattutto la ripartizione del Nord-est, con un saldo di trasferimenti positivo per 485mila unità nel corso dell’intero orizzonte previsivo (scenario mediano). Peraltro il Nord-est risulta anche la ripartizione che vanterebbe flussi netti positivi nei confronti di tutte le altre ripartizioni prese singolarmente, compresa quella del Nord-ovest (Prospetto 4). Per quest’ultima ripartizione geografica il bilancio cumulato risulterebbe comunque positivo (484mila), potendo vantare saldi positivi nei confronti del Centro e del Mezzogiorno. Il Centro registrerebbe a sua volta un saldo netto di +392mila unità, con flussi netti positivi nei confronti del Mezzogiorno. Negativo, infine, il saldo migratorio interregionale nelle Isole (211mila individui in meno) e, particolarmente, nel Sud (1,1 milioni in meno), unica ripartizione a registrare flussi netti singolarmente negativi nei confronti delle altre.
L’età media della popolazione passerà dagli attuali 44,7 a oltre 50 anni del 2065
Le previsioni demografiche forniscono anche un’immagine di come la struttura per età della popolazione potrebbe cambiare in futuro. Tali cambiamenti restituiscono a distanza di anni l’impatto dei fattori demografici di invecchiamento, determinati dall’azione delle nascite, dei decessi e dei movimenti migratori.
La piramide al 2016 evidenzia come già nell’anno base la struttura per età risulti piuttosto sbilanciata, con un’età media che si avvicina ai 45 anni e una quota di ultrasessantacinquenni superiore al 22%. I valori più bassi che si rilevano nelle classi di età della prima infanzia riflettono il calo delle nascite registrato negli ultimi anni. Invece, tra i valori più alti figurano quelli relativi alle coorti superstiti tra i nati del 1961-1975, che oggi presidiano la popolazione in tarda età attiva.
Nel 2025 le medesime coorti, che nel frattempo transitano a un’età compiuta di 49-63 anni, sono ancora le più numericamente consistenti. La popolazione in età attiva, oltre che a invecchiare, comincia anche a ridursi, scendendo al 63% del totale rispetto all’iniziale 64,3%. Il tutto in un quadro che, perlomeno fino al 2025, presenta blandi livelli di incertezza, fatta salva quella presente nelle prime coorti di nascita per via delle diverse ipotesi sulla fecondità (che in tale anno dovrebbe ricadere tra 1,31 e 1,57 figli per donna).
Il periodo più critico sotto il profilo della composizione per età della popolazione è molto probabilmente quello a ridosso del 2045. Intorno a tale anno la popolazione in età attiva scenderebbe al 54,3% del totale, con un’età media della popolazione salita nel frattempo a 49,7 anni (scenario mediano). Lo sbilanciamento strutturale in favore delle età anziane raggiunge il suo culmine con il 33,7% di ultrasessantacinquenni, grazie al fatto che le coorti del baby boom nazionale, ancora quelle numericamente più rilevanti, transitano in tale fase nelle classi di età comprese tra i 69 e gli 83 anni. L’incertezza associata, che a questo punto del ciclo previsivo comincia a farsi significativa in prossimità delle classi di età dell’infanzia e di quelle giovanili-adulte, non pare tuttavia alterare il quadro prospettico evidenziato nello scenario mediano. Qualunque possa essere la futura evoluzione demografica, non si potrà prescindere da un aumento progressivo della popolazione in età anziana, in un range compreso tra il 31,9 e il 35,6% del totale. Parallelamente, la popolazione in età attiva oscillerebbe tra il 52,8 e il 55,8% mentre i giovani fino a 14 anni di età tra il 10,4 e il 13,4%.
Nel lungo termine, per quanto l’incertezza raggiunga livelli tali da invitare alla massima cautela nell’uso delle informazioni, la piramide della popolazione tende a recuperare un migliorato equilibrio strutturale. Al punto che l’età media della popolazione, in seguito al raggiungimento di un massimo di 50,3 anni nel 2057 secondo lo scenario mediano, tenderebbe a riabbassarsi fino a 50,1 nel 2065.
Ciò si deve a diversi fattori, tra cui la progressiva estinzione delle coorti nate tra il 1961 e il 1975. La popolazione in età attiva, dopo il raggiungimento del suo livello percentuale minimo nel 2050 (53,9%), recupera peso fino al 54,8% entro il 2065 nello scenario mediano, con margini di incertezza compresi tra il 52,6 e il 56,8%. La popolazione in età anziana, a sua volta, raggiungerebbe il proprio massimo intorno al 2051 (34,1%) e poi si avvierebbe a una fase di diminuzione tale da ridiscendere al 33,1% entro il 2065. Piuttosto ampio, tuttavia, risulterebbe il probabile campo di variazione per tale componente: dal 30,2% nell’ipotesi più favorevole al riequilibrio strutturale, fino al 36,7% sotto quella meno favorevole. Un grande impatto sul piano dell’incertezza sarà, infine, quello determinato dalle ipotesi sulla fecondità. La quota di giovani fino a 14 anni di età, che nel lungo termine dello scenario mediano tende a stabilizzarsi intorno a valori del 12%, nasconde in realtà un grande arco di possibilità che va da un minimo del 9,7% a un massimo del 14,3% nel 2065.
Processo di invecchiamento più rapido nel Mezzogiorno
La trasformazione della struttura per età della popolazione comporterà un marcato effetto sui rapporti intergenerazionali che verrebbe propagato in modo diverso sul territorio. Le regioni del Nord-ovest, del Nord-est e del Centro potrebbero sperimentare un percorso di convergenza simile: dagli oltre 45 anni di età media attuali, agli oltre 47 entro il 2025, fino agli oltre 49 anni entro il 2045, periodo dopo il quale il livello di invecchiamento si stabilizza.
Nel Sud e nelle Isole, invece, la popolazione passerebbe da un’età media iniziale compresa tra i 43 e i 44 anni, quindi più bassa di quella registrata nel Centro-nord, a una vicina ai 46 anni entro il 2025 e quindi a una superiore ai 50 entro il 2045. Intorno a tale periodo il Mezzogiorno risulterebbe così l’area del Paese a più forte invecchiamento, con un’ulteriore prospettiva di aumento dell’età media che, pur decelerando, perverrebbe al livello di 51,6 anni entro il 2065.
Pur non trascurando il significativo margine di incertezza, che potrebbe sfatare l’eventualità di un Mezzogiorno a velocità potenziata sulla strada dell’invecchiamento come si evidenzia dallo scenario mediano, non vi è dubbio che il quadro prospettico complessivo di tale ripartizione geografica ponga in essere una questione di sostenibilità strutturale, per se stessa e per l’intero Paese.
Analizzando la composizione per grandi classi di età della popolazione, si rileva come nel Mezzogiorno potrebbe aversi una riduzione più rilevante della quota di giovani fino a 14 anni di età: da circa il 14% nel 2016 all’11% nel 2065 con un ventaglio di ipotesi che la potrebbe veder scendere fin sotto il 9% o ad arrestarne la diminuzione poco sopra il 13%.
Nel Centro-nord la popolazione in età giovanile dovrebbe invece subire una contrazione di minore entità: da una quota largamente superiore al 13% a una largamente superiore al 12% entro il 2065 ma anche in tal caso va sottolineato quanto ampio si presenti nel lungo termine il ventaglio delle ipotesi: da valori inferiori al 10% (nel Centro) a valori vicini al 15% (nel Nord).
Nel Mezzogiorno sono, inoltre, più accentuate la prevista riduzione della popolazione in età da lavoro e la concomitante crescita della popolazione in età anziana. La prima dovrebbe infatti ridursi di circa 13 punti percentuali nell’intero arco previsivo sulla base dello scenario mediano (da circa il 66% nel 2016 al 53% nel 2065). La seconda dovrebbe invece crescere di almeno 15 punti percentuali (dal 20-21% attuale a circa il 36% finale). Da entrambi i processi, tanto il calo dei potenzialmente attivi quanto l’aumento degli anziani, non sono esenti né il Centro né il Nord del Paese ma, come si è già visto dalle precedenti analisi, in un contesto leggermente più favorevole. Per la popolazione in età attiva di tale aree del Paese si prospetta, infatti, una riduzione di circa 8 punti percentuali mentre la crescita di quella in età anziana si aggira mediamente intorno ai 9 punti percentuali. Molto, probabilmente la maggior parte, di quanto si prevede possa essere il futuro della popolazione residente nella sua articolazione territoriale dipende dalla struttura per età che si osserva oggi.
Il resto dipende dall’entità dei valori medi previsti e dalla variabilità delle ipotesi riguardo ai comportamenti demografici. Un’entità dei valori medi di previsione che, come si è visto, avvantaggerebbe il Centro-nord per via delle più favorevoli ipotesi riguardo sia ai comportamenti riproduttivi sia migratori (tanto con l’estero quanto con l’interno) ma che non esenta tale area dalle problematiche demografiche comuni a tutto il Paese. Una variabilità delle ipotesi, infine, che aiuta non solo a definire i contorni dello sviluppo demografico futuro ma che restituisce delle misurazioni specifiche sull’attendibilità (certezza) di determinati scenari o sulla sistematica incertezza rispetto ad altri.
Principali ipotesi demografiche a supporto delle previsioni
Le previsioni demografiche si fondano su un insieme di ipotesi nei confronti della fecondità, della mortalità, dei trasferimenti di residenza interregionali e dei movimenti con l’estero. Il Prospetto 7 riporta una sintesi di tali informazioni a livello di ripartizione geografica per gli anni 2016 (base), 2025 (breve termine), 2045 (medio termine) e 2065 (lungo termine). Un’ampia sintesi della metodologia sottostante le previsioni è contenuta in allegato. Infine, un quadro dettagliato delle ipotesi e dei principali risultati è consultabile sia sul sito generalista di Istituto dati.istat.it (tema: Popolazione e famiglie > Previsioni demografiche) sia sul sito tematico demo.istat.it.