(s.t.) Riprendendo quella che era una tradizione de lextra.news – l’intervista natalizia al sindaco di Tarquinia, quest’anno trasformata in una chiacchierata di fine anno – il primo cittadino della città etrusca parla di bilanci del recente passato e propositi per il futuro, tornando anche sui temi che hanno sollevato polemiche negli ultimi giorni.
E inizia citando Dalla: “L’anno che verrà sarà un anno di speranza e buoni propositi: spero Tarquinia, nei prossimi anni, dia un impulso maggiore a questa cittadina che sta cercando di diventare città. Un passaggio che sembra facile ma non lo è, c’è molto da fare soprattutto sul lavoro amministrativo: stiamo rimettendo in moto un comune fermo da un po’ di tempo”.
“Si aprono nuove prospettive per questo comune. – continua – Se non siamo bravi oggi a rimettere questo comune dove dovrebbe stare perdiamo un treno: un treno che non passa ogni giorno, né ogni anno, ma neanche dopo cinquant’anni. Quello che farà quest’amministrazione sarà il futuro di questa città per venti o trent’anni”.
“Cambiato nel ruolo di sindaco? Io sono paziente con chi mi porta proposte e non mi prende in giro, come sul discorso sulle associazioni che ho fatto nei giorni scorsi. Se c’è un’associazione che lavora davvero come associazione, mi troverà sempre. Ma se all’interno ci sono tre quattro culture diverse di fare associazionismo, non mi ci trova: se vogliamo organizzare qualcosa, dal Presepe vivente alla Giostra delle contrade, e c’è qualcuno che la pensa come associazione e porta avanti tutto questo a me va bene. Oggi forse più di ieri faccio l’interesse di questo paese: il cambiamento c’è stato perché faccio molta più attenzione a con chi parlo e a chi prende in giro. Se vogliono prendere in giro, con me non trovano spazio: ma se portano proposte concrete, razionali e rivolte al futuro io le ricevo anche di notte”.
Ma da un sindaco non ci si dovrebbe aspettare un approccio più aggregante? “Da un sindaco politico sì – risponde Giulivi – ma siccome non sono un sindaco politico, devo essere un sindaco tecnico e fare l’interesse di questo paese, già che non è detto che io mi ripresenti nei prossimi anni. Io sto facendo il bene di questo paese, se vogliamo cambiarlo, poi se vogliamo restare paese va bene: chi verrà dopo di me riprenderà il clientelismo di sempre e lo farà tornare paese. Sicuramente scontenterò molte persone, e ho appena cominciato: saranno molte di più, ma io utilizzerò i soldi dei cittadini senza fare clientelismo”. Poi chiarisce il concetto di paese e città che aveva già tirato in ballo nei giorni scorsi: “Vogliamo tanto da questa città, tutti vogliono tutto: ma si sono mai chiesti loro cosa danno? Tutti quelli che potrebbero dare qualcosa per la città, che fanno quando si svegliano la mattina? I nostri 16.000 concittadini cosa darebbero per Tarquinia? Gli investitori non vengono a investire soldi in un paese: se li vogliamo bisogna diventare una città. La differenza tra paese città è che la città cresce, e un paese no”.
“Deve cambiare la cultura di questo popolo, – insiste – il turismo deve diventare predominante e per far venire i turisti a Tarquinia bisogna cambiare mentalità”. Ma da un sindaco, da un leader cittadino, non ci si aspetta qualcosa di diverso, che aiuti a unire, a risolvere i problemi? “Io faccio un lavoro diverso, io faccio il sindaco. Non siamo noi a obbligare la gente a fare proposte: se vogliono rimanere così, io non rompo questa magia che dura da oltre quarant’anni”.
Poi parla di risultati e operazioni avviate dei primi sei mesi, dalle Saline a San Giorgio, “ma il vero anno di lavoro è il prossimo, con un bilancio tutto nostro e l’inserimento di progetti importanti”, sull’ipotesi del quinto assessore – “lo sto facendo io l’assessore all’ambiente, chi meglio del sindaco può difendere il suo paese” – e Università Agraria, confermando l’idea del referendum per farla assorbire dal Comune. Infine il gioco dei voti, con Giulivi che dà una valutazione a vari protagonisti politici cittadini, da Mazzola a Luigi Serafini, da Andreani a Martina Tosoni, da Celli a Moscherini sino a sé stesso.