di Pino Moroni
A margine di una Mostra, ben allestita nella sua essenzialità ed estetica nella Sala D.H. Lawrence di Tarquinia, composta da pregevoli opere di autori e materiali diversi, si è cercato di individuare un filo conduttore che potesse raccogliere il pensiero degli artisti presenti, non così evidente dal suo solo titolo EcoArt. Vero è che gli artisti hanno utilizzato materiali comuni o riciclati quali ferro, terrecotte, legno, plastica, tessuti, rame, pietra e questo è quello che si chiama ecologico. Ma al di là dell’uso o riuso della materia, quello più evidente in questa Mostra è che l’immaginazione, la creatività e la loro diretta espressione rimangono soprattutto frutto di quel che l’artista pensa sull’umanità in questo momento, in questo mondo. Quello che ne viene fuori è un afflato artistico più che ecologico, antropologico!
Gli stessi artisti, parlando delle loro opere, hanno sottolineato che l’ispirazione è venuta dal loro pensare sull’uomo, sulla vita ed il tempo, sulla natura, sulla società. “Perché sono anch’essi uomini di questo tempo difficile” (come ha detto uno di loro).
Partendo dall’installazione all’ingresso, con i suoi tronchi incrociati a formare l’ossatura di un tepee, una di quelle tradizionali tende indiane, ingentilite da sei fiches di vimini intrecciati, che rappresenta la vita naturale degli uomini raccoglitori di frutti donati dalla terra e cacciatori di animali necessari al fabbisogno quotidiano. Esseri umani tutt’uno con la terra ed i suoi tre regni (animale, vegetale, minerale) e con il cielo, il sole, le stelle e le costellazioni. Con abitudini di vita semplici, solo alla ricerca del necessario e delle arti magiche della medicina. Immersi nel soffio della vita concesso da un Grande Spirito, elemento essenziale ed innato della Natura, sorgente di tutte le cose buone. Davanti la tenda un arazzo di tela di sacco, sul quale si può intravvedere, in grandi quadrati bianchi geometrici, il profilo di un bisonte, mentre ovunque colano piccoli rivoli bianchi di colore, come tante lacrime versate per lo sterminio degli animali e la scomparsa delle tribù primitive. Poi scorrendo tra le più significative opere della mostra (Otello Amantini, Carlo Brignola, Angelo Degli Effetti, Roberto Ercolani, Sandra Inghes, Domenico Narduzzi, con la partecipazione di Giovanni Calandrini e Francesco Narduzzi), tra materialità e spiritualità, in una evoluzione storica delle epoche dell’Umanità, si giunge all’enorme bocca spalancata, fatta di intrecci di ferro, simbolo della voracità del consumista uomo moderno, tutt’altro che ecologico e naturale. Di fronte a quella bocca orribile, con denti aguzzi, che inghiotte e divora anche le sue interiora e con piedi grifagni ghermisce ogni animale e vegetale in un tripudio di violenza, si giunge alla più ovvia conclusione che non è più questo il secolare ciclo della vita. L’Antropocene (l’era che definisce il nostro periodo storico) sta diventando il periodo più pericoloso per la stessa Umanità, che senza accorgersene, sta consumando e distruggendo sé stessa ed il suo mondo. E gli artisti lo dicono con la Mostra EcoArt.