di Vittoria Tassoni
Una tipica tradizione della Tuscia, ma anche di altre località laziali, è quella della colazione di Pasqua. Non è una semplice colazione, ma un vero e proprio rito: tutti insieme intorno alla tavola apparecchiata e decorata per gustare le prelibatezze preparate dalla padrona di casa.
Ma cosa si mangiava la mattina di Pasqua tradizionalmente.
La scelta era ampia: dal salame, preferibilmente del tipo corallina, alla lonza o capocollo, uova sode decorate dai bambini, coratella d’agnello condita con carciofi o con cipolla, frittate con asparagi e carciofi, e l’immancabile “pizza di Pasqua”. Il tutto era seguito (o accompagnato) poi dalla consueta colazione a base di latte e caffè.
Pani rituali: la pizza di Pasqua
L’usanza di produrre pani rituali è molto antica e diffusa nella nostra Penisola – così come in altri paesi europei ed extraeuropei -, e, per lo più, all’interno di celebrazioni festive cristiane.
In Italia, i pani dolci, oltre che nelle forme tradizionali, venivano e vengono tuttora preparati sotto forma di animali (il gallo, il cavallo), di piante (la spiga del grano), di figure femminili e maschili, che rievocano il concetto antico della Dea madre, di rinascita, di fertilità, di abbondanza.
In particolare i pani a mo’ di bambola o cavallo venivano dati in dono tra fidanzati che usavano scambiarsi tali dolci durante una sontuosa cerimonia, avente luogo durante la festività di Pasqua, come segno di buon augurio e fertilità.
Anche l’uovo sodo si ricollega con la sacralità della Pasqua e della Resurrezione del Cristo: in alcune preparazioni l’uovo è posto al centro del pane sorretto da due strisce di pasta incrociata, come se fosse su un altare. L’uovo, infatti, in diverse culture del passato (Celti, Greci, Egiziani, Fenici, Etruschi e molte altre) e, anche oggi, continua ad indicare la rinascita e il cambiamento: per i Cristiani, si lega a Cristo e alla sua resurrezione, per altre religioni, rappresenta simbolicamente la rinascita cosmica che si ripete ciclicamente.
Non è quindi un caso che tali preparazioni ricche di uova e con forme particolari vengano realizzate proprio nel periodo pasquale dove si concentrano maggiormente le forze rigeneratrici dell’universo.
Nel Lazio troviamo questi esempi a Frascati e a Tivoli: la “pupazza frascatana’’, la cui peculiarità risiede nella presenza di tre seni, e, a Tivoli “le pupazze e li cavallucci” Anche in vari paesi della valle dell’Aniene vi è ancora la consuetudine di panificare in occasione della Pasqua dolci devozionali da regalare ai bambini in segno di buon auspicio.
Sebbene nella la Tuscia viterbese – in cui sono ricompresi tutti i comuni della provincia di Viterbo – gli esempi siano molteplici e tutti i paesi e tutte le famiglie abbiano la loro “Pizza dolce”, mi limiterò a menzionare i più importanti e significativi. Un caso a parte è rappresentato dal paese di Onano ove i dolci devozionali – biscotti (cavallo e pupa ) – vengono realizzati il 14 Agosto in occasione della vigilia della Vergine Assunta che coincide con l’inizio del nuovo anno agricolo.
Nella Tuscia, la Pizza pasquale è facilmente riconoscibile per la sua forma a fungo per il colore giallo dell’impasto conferito dalle uova ,per la pronunciata aromaticità dovuta alla presenza di cannella, scorze di agrumi e liquori. Ottima in abbinamento sia con i salumi che con il cioccolato.
Le più conosciute sono quelle di Bagnaia, dove tutti gli anni si svolge il concorso per la migliore Pizza dolce, ma nell’insieme sono tutte buone. A Piansano per esempio, oltre alla classica Pizza, viene preparata la “Pizza Margherita”, una sorta di pan di spagna a forma di fungo ma decorata con la “fiocca” ( albume montato ) e con confettini colorati, un tempo utilizzata come pegno d’amore tra fidanzati.
Anche Vignanello presenta 2 dolci devozionali: la Pizza Usuale e il Pamparito.
La prima – Pizza Usuale – è una pizza dolce più bassa rispetto alla classica a fungo, e il Pamparito, un prodotto DE.C.O a denominazione comunale d’origine con relativo disciplinare (il termine Pamparito, in uso verso la metà dell’Ottocento, poteva probabilmente derivare dal doppio termine PanParito, dove Pan sta per pane e “parito” (dal latino parāre) per “prepararsi a …”, “essere sul punto di …”: forse pane da prepararsi a Pasqua, ma comunque le derivazioni potrebbero essere diverse. Questo pane ha una forma un pò allungata, simile ad un maritozzo, arricchito di semi di anice, vino e olio. Veniva mangiato la mattina di Pasqua insieme alla Pizza Usuale con i salumi.
Il “Pamparito” è sempre stato considerato il pane tipico della Santa Pasqua, così come la “Pizza Usuale” era il dolce dei “grandi”, mentre la “Scarsella” e la “Pupa” erano i dolci dei “piccoli”.
Nella Tuscia troviamo inoltre la Crescia, detta anche “torta al formaggio”. Viene consumata sempre più spesso, ma è una preparazione originaria delle Marche, forse portata nella Tuscia maremmana attraverso la transumanza dei greggi. Tanto è che preparazioni simili le ritroviamo in Umbria, Abruzzo e Molise.
Spostandoci verso i confini meridionali della Maremma troviamo Civitavecchia, ove la sua Pizza Dolce è stata inserita nei prodotti del Gusto di Slow Food. Viene preparata la domenica prima di Pasqua per essere lasciata riposare una settimana. Gli ingredienti sono più abbondanti e il suo impasto risulta più scuro per la presenza di cacao, cannella e anice.
Possiamo dunque dire che i pani festivi hanno un forte carico simbolico, rimasto invariato nel corso dei tempi. Pur impiegando ingredienti semplici, la Pizza di Pasqua è una realtà complessa, crogiolo di culture, riti, tradizioni, leggende miste a fede, mistero e magia, ed è per questo che possiamo a buon diritto dire che questi pani dolci sono degli scrigni di storia.
Bibliografia
- DisciplinareC.O del Comune di Vignanello
- Si fa presto a dire cotto Autore del libro: Marino Niola
- Ringrazio in particolare Ezio Gnisci del Ristorante “il Vicoletto 1563” Vignanello
- Luigi Scipioni del Golosone (pizze in forno)
- Mauro Bonifazi per la foto di copertina