di Attilio Rosati
Dedicato con affetto ed amicizia ad Antonio Lenzo che per mille volte, ha accettato il verdetto del campo, per mille volte ha corso a perdifiato, per mille volte, solo contro tutti, ha vinto.
Se ne stava fermo ai bordi del campo e guardava con interesse i suoi compagni che si dannavano appresso al pallone. Suo padre, perplesso, quasi spaventato, si avvicinò in punta di piedi. “Salvatore! Ma perché non vai a giocare anche tu! Dai! Corri!”. “Non mi interessa babbo, io amo il calcio più di ogni altra cosa. Ma da grande, voglio fare l’arbitro!”. Carmine guardò suo figlio, 9 anni, una faccetta allegra piena di lentiggini;
“Ma scherzi! Ma tu lo sai cosa è un arbitro? L’arbitro, è un uomo che come unico compagno ha un fischietto! Solo, contro tutto e contro tutti. Corre e si danna per il campo, coperto dagli insulti e circondato dalla diffidenza e dall’ostilità dei giocatori, degli allenatori, del pubblico. Non importa chi vincerà o chi perderà. Le colpe saranno sempre le sue ed i meriti, degli altri. Di tutti gli altri”. “No babbo. L’arbitro è un grande uomo. È quello che rende possibile il gioco del calcio, regalando a tutti grande gioia. Non è forse lui che fa rispettare le leggi del campo? Io voglio far rispettare la legge perché tutti si divertano e siano felici”. Carmine finse di non sentire e lasciò cadere il discorso pensando che presto queste strane idee avrebbero lasciato la capoccia di suo figlio. “Presto la passione per il calcio lo ricondurrà alla ragione! Sarà un grande centravanti, il più forte”.
Passano nove anni e Carmine non ne può più. Tutte le sante domeniche, rannicchiato sugli spalti di qualche stadio, sente e sopporta gli insulti, le minacce e le frasi di scherno che gli spettatori rivolgono contro suo figlio e tutte le settimane, livido di rabbia e di mortificazione, si pone sempre la stessa domanda. Ma perché, impreca a denti stretti: “Poteva diventare un grande centravanti ed ha scelto di fare l’arbitro”. “Non c’è stato verso di dissuaderlo. Ha preso il suo bravo brevetto e tutte le domeniche che Dio manda in terra, lo devo accompagnare in giro per gli stadi, a farsi insultare, a subire minacce”.
Quando Carmine, che dopo un po’ non resiste e se ne va fuori dallo stadio ad aspettare Salvatore, vede uscire i ragazzi delle squadre che ridono, scherzano tutti insieme e poi vede arrivare il suo ragazzo, con la sua borsetta a tracolla, solo come un cane, sente stringersi il cuore in una morsa. Eppure Salvatore, dona sorrisi come fiori ed il suo sguardo è sempre limpido e sereno e quando corre in mezzo al campo, i suoi occhi brillano come due stelle. Eppure Salvatore si muove in mezzo al campo come se la vita di qualcuno dipendesse da lui. Salvatore è felice.
Un giorno, Carmine, come al solito mimetizzato fuori dallo stadio ad aspettare il figlio, vede una bella ragazza bionda. “sarà la ragazza del centravanti, ” pensa scorbutico, ma tutti gli altri sono oramai usciti e la ragazza è ancora lì. Quando Salvatore esce, gli va incontro. “Ciao, io mi chiamo Francesca e tu?”. Carmine, rivolge lo sguardo verso il sole che calando, gli ricorda uno di quei brutti cartellini gialli che suo figlio a volte sventola sotto il naso dei “protagonisti”, si fa ancora più piccolo, fin quasi a sparire. “Ciao io sono Salvatore, ho arbitrato questa partita”. “Lo so, ti guardavo incantata, ma non ti impressionano tutti quelli strilli? Devi avere un gran coraggio! “Sai, è solo un gioco, un bellissimo gioco ma sono le regole ed il rispetto delle regole, che lo rendono ancora più bello. I due ragazzi camminano insieme, parlano come se si conoscessero da sempre; la partita è finita; quel che ne rimane è uno strano, piacevole ricordo.