Nessun nodo ancora definitivamente sciolto: nemmeno i primi risultati dell’autopsia – peraltro durata sei ore – hanno permesso agli inquirenti d’indirizzarsi su una strada decisiva nel comprendere le cause della morte di Gabriel Farkas, il 32enne operaio romeno il cui cadavere è stato rinvenuto da un cacciatore, giovedì scorso, nelle campagne di Sant’Agostino.
Resta vivo, perciò, il mistero sul decesso del giovane, così come sull’esatta data dello stesso: al momento del ritrovamento, infatti, il corpo era già in avanzato stato di decomposizione, il che lascia ritenere che la morte di Farkas risalga a diversi giorni prima.
C’è ancora lavoro, insomma, e parecchio, per gli inquirenti, impegnati a rimettere insieme i pezzi della vicenda: cosa ci faceva Farkas in una zona impervia come quella in cui è stato ritrovato? Era solo? È stato ucciso oppure si tratta di un caso di suicidio o, ancora, di un malore?
Ad avvalorare la prima ipotesi sono alcuni aspetti controversi della vicenda: il ritrovamento, tardivo, dell’auto del ragazzo – un’Alfa Romeo 156 – presso uno sfascio tra Tarquinia e Civitavecchia; o, ancora, la sparizione, dall’auto stessa, tanto del telefono cellulare, quanto del computer dell’operaio.
A far luce sulla questione, a questo punto, saranno sia il lavoro d’indagine dei carabinieri della stazione di Tarquinia, coordinati dal sostituto procuratore Margherita Pinto, sia i risultati degli esami tossicologici, attesi entro i prossimi quindici giorni: a quel punto, si dovrebbe esser in grado di scoprire se Farkas, prima di morire, sia stato avvelenato o abbia fatto uso di droghe o altre sostanze.