di Anna Alfieri
Questa mattina il mio pensiero ha varcato, all’improvviso, la cinta muraria della nostra città e, sorvolando velocemente mari e montagne, in un attimo mi ha portato a Milwaukee, Wisconsin, Stati Uniti d’America. Milwaukee dove nacque Spencer Tracy, dove rombano le fabbriche delle Harley Davidson e dove, secondo l’eterna finzione televisiva, negli anni ’50 e ’60 viveva tale Arthur Fonzarelli detto Fonzie, proprietario di un giubbotto di pelle nera che lo rendeva simpatico e ardito. Eppure – cosa certissima – non è stato Fonzie ad attirarmi in America. È stato piuttosto il fatto che, proprio ieri sera, con mio grande ma grande stupore, ho saputo che il Dr. George B. Palermo, psichiatra criminologo e profiler di fama internazionale, è un nostro concittadino per nascita e per onorificenza acquisita. Un tarquiniese illustre che, tra l’altro, a Milwaukee eseguì – come patologo forense – la perizia psichiatrica sul serial killer Jeffrey Dahmer, universalmente noto come il Mostro del Wisconsin, detto anche “Il Cannibale”.
Jeffrey il cannibale era un giovane uomo biondo dai lineamenti e dai modi gentili. Eppure, tra il 1978 e il 1991 adescò, quasi tutti in locali frequentati da gay, 17 ragazzi che sottopose a bestiali violenze sessuali e a torture indicibili nella sua casa situata in prossimità della fabbrica di cioccolata in cui lui lavorava, e dove li uccise con inaudita crudeltà. Diciassette ragazzi sui cui poveri corpi infierì con orrendi atti di necrofilia e con altre innominabili azioni che, responsabilmente, ho deciso di non trascrivere nei loro raccapriccianti dettagli per non urtare la sensibilità di chi legge e per non essere costretta a ripercorrere le insopportabili vie dell’orrore che, per informarmi bene, ho appena dovuto attraversare con grande dolore. Infelici ragazzi che poi lui – Jeffrey Dahmer – letteralmente “mangiò” come un orco.
Il processo a Jeffrey iniziò nel 1991 e si prolungò per molto tempo tra imponenti misure di sicurezza allestite per proteggere l’imputato dall’ira della folla che voleva linciarlo. Ma proprio in quel famoso processo il nostro George B. Palermo contrastò, in qualità di patologo forense, la difesa che invocava per il cannibale l’infermità mentale e affermò con chiarezza che quel “ragazzone intelligente e garbato, forse solo un po’ distaccato e freddo, era perfettamente capace di intendere, di volere, di premeditare e di attuare con lucidità ogni sua singola azione, quindi sano di mente”. Una perizia coraggiosa ed esemplare che ancora oggi fa scuola di psichiatria e di giurisprudenza nel mondo e che, allora, costò, a quel mostro non pazzo, la condanna alla massima pena possibile. Non quella di morte che in Wisconsin non è prevista, ma quella a 957 (novecentocinquantasette!) anni di reclusione. Un ergastolo lungo quasi un millennio che, però, Dahmer non scontò nemmeno in minima parte, perché, pochi mesi più tardi, venne a sua volta ucciso da un compagno di pena che lo massacrò con un bilanciere per sollevamento pesi trafugato in palestra. Un’esecuzione spicciativa, feroce e improvvisa, senza testimoni, senza ulteriori perizie, senza sentenza, senza appelli, senza preghiere e senza nemmeno l’ultima sigaretta che non si nega a nessuno.
A questo punto, però, dopo aver attraversato ogni tipo d’insopportabile orrore, lascio volentieri l’America ai suoi nerissimi incubi neri e mi rifugio di nuovo a Tarquinia, dove il Dr. George B. Palermo, all’anagrafe Giorgio Benito Palermo, è nato nel 1922.
Suo padre Gaetano era un ufficiale dei bersaglieri in carriera che, proveniente da un’aristocratica famiglia di Catania e ancora fresco di studi all’Accademia militare di Modena, venne mandato di stanza nella nostra città, dove si trovò benissimo. E dove, come mi dicono alcune persone molto informate sul suo conto, frequentava il Caffè di Albertini situato in Piazza Matteotti, che nei primi decenni del ‘900 fungeva anche da Circolo Culturale cittadino. Un bel Caffè, connotato da grandi specchiere color ambra incorniciate da stucchi dorati; da tavolini di ghisa e di marmo; da divanetti ricoperti di velluto rosso “genovese” e da poltroncine di paglia di Vienna. Eleganti dettagli di arredo di cui io stessa sono testimone indiretta, in quanto depositaria dei ricordi giovanili di mio padre e di mio zio, Manlio Alfieri pittore, il quale, osservando proprio gli avventori del Gran Caffè Albertini, abbozzò i suoi primi ritratti di artista adolescente e sognatore, ma già consapevole di sé.
La madre di Giorgio Benito aveva invece un nome gioioso e accogliente. Si chiamava Felicetta Amicizia ed era una bella ragazza appartenente a una nota famiglia cornetana che, in via della Caserma, gestiva un negozio di macchine da cucire dove si vendevano nastri, merletti, matassine di tutti i colori e il famoso Olio Singer con il quale, goccia a goccia, i tarquiniesi lubrificavano ogni tipo di meccanismo inceppato.
Dalle nozze di Gaetano Palermo e di Felicetta Amicizia nacquero undici figli, di cui Giorgio Benito, ora George B. Palermo profiler famoso nel mondo, è il terzogenito. E qui, per non dimenticare proprio nulla di lui, mi affido, com’è ormai lecito fare, alle opportunità offerte dal web.
Il Prof. George B. Palermo, nato a Tarquinia (Viterbo), si laureò in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Bologna nel 1951. Dopo l’internato di un anno al Policlinico di Roma, si trasferì negli Stati Uniti, nella città di Milwaukee, Wisconsin. Successivamente si specializzò in Psichiatria e, nel 1962, divenne Diplomate of the Psychiatry and Neurology, poi Direttore di un servizio di psichiatria di emergenza e Consulente in Psichiatria nel Milwaukee County Mental Health Complex. Dal 1962 al 1969 si occupò di psichiatria forense per la Contea di Milwaukee dove faceva parte della facoltà di Medicina presso la Marquette University. Rientrò a Roma nel 1969 come consulente psichiatra per l’ospedale internazionale Salvator Mundi e insegnò psicopatologia alle Università Gregoriana e Cattolica. Ritornato in America nel 1988, si occupò di Psichiatria Forense e di Clinica Psichiatrica e Neurologica. Fu di nuovo Professore di Criminologia alla Marquette University, sempre in Milwaukee, nonché Lecturer in Psichiatria e Bioetica alla Loyola University Stritch School of Medicine, in Chicago. E’ stato Visiting Professor all’Università Statale di Roma, all’Istituto di Medicina Legale e Criminologia di Modena, di Medicina Legale a Roma e a Bari, al Serbsky Institute di Mosca e all’Istituto di Criminalistica del Cantone Ticino. Viene spesso intervistato da reti televisive nazionali e internazionali, spessissimo anche sulla sua famosa perizia d’ufficio relativa al serial killer Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee. Il Prof. Palermo è frequentemente speaker in congressi nazionali e internazionali. Interpellato più volte anche sul delitto di Cogne e su altri complessi delitti italiani, ha pubblicato numerosi saggi di natura psichiatrica, criminologica e sociale, ed è autore e coautore di vari libri scientifici. Tra i quali: The Faces of Violence; The Paranoid:; In and Out of Prison (con il Prof. Edward Scott); Letters from Prison: A Cry for Justice (con il Giudice Maxine White); Satanism: Psychiatric and Legal Views (con Prof. Michele Del Re). The Dilemma of Sexual Offenders (con la Prof.ssa Mary Ann Farkas). E’ l’Editor-in-Chief dell’International Journal of Offender Therapy and Comparative Criminology e Associate Editor di numerose riviste mediche. E’ membro delle più importanti organizzazioni mediche psichiatriche e criminologiche nazionali e internazionali. Ha ricevuto il “Citizen of the Year” award nel 1996 e il “Justinian Person of the Year” award 1997. E’ Commendatore della Repubblica Italiana.
Attualmente il Dr. George B. Palermo vive a Las Vegas. Il 22 ottobre 2005 il Sindaco Alessandro Giulivi gli ha conferito la cittadinanza onoraria di Tarquinia che il Professore condivide con Roberto Sebastian Matta Echaurren, artista cileno; I Reduci del 1° Battaglione Carabinieri Paracadutisti; Yasser Arafat, Premio Nobel per la Pace; Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la Medicina; Padre Ibrahim Faltas, parroco di Gerusalemme; Maria Bonghi Jovino, Archeologa.
Tutti nostri illustri compaesani acquisiti, sui quali mi piacerebbe scrivere, prima o poi, qualcosa di inedito. Per esempio, racconterei volentieri che Rita Levi Montalcini, quando venne nella nostra città (io ero ad attenderla con molti altri in Comune), ci fece l’onore di indossare il famoso vestito gentile e austero che Valentino aveva creato esclusivamente per lei. Ma questa è un’altra storia, alla quale penserò un’altra volta.