Riceviamo e pubblichiamo
Le elezioni del 4 marzo 2018 rischiano di passare alla storia come il punto più basso raggiunto dalla nostra già svilita democrazia costituzionale, in quanto si svolgeranno in macroscopica violazione del principio di uguaglianza su cui dovrebbe essere edificata la nostra Repubblica.
Da una parte la gestazione delle nuove leggi elettorali (nazionale e regionale), approvate secondo un triste malcostume a fine legislatura, si è contraddistinta per una spasmodica corsa dei partiti presenti nel “Palazzo” alla ricerca di escamotage, di dubbia legittimità costituzionale, per frazionarsi ed esonerare le proprie liste civetta dall’insidioso adempimento della raccolta firme.
Dall’altra i ritardi nella convocazione dei comizi elettorali regionali e nella pubblicazione di istruzioni e modulistica ufficiali (avvenuta solo in data 11 gennaio), hanno drasticamente pregiudicato la partecipazione di quei partiti emergenti che, come il Fronte Sovranista Italiano (promotore della lista “Riconquistare l’Italia” per le elezioni regionali di Lazio e Lombardia), hanno subito una ingiusta e drastica riduzione del tempo utile per la raccolta firme e l’espletamento di tutti i relativi incombenti.
Se la Regione Lombardia è corsa parzialmente ai ripari, provvedendo in extremis a dimezzare il numero delle firme necessarie per la presentazione delle candidature, la preoccupazione per il ripristino dell’elementare principio di uguaglianza che dovrebbe essere alla base di un equilibrio democratico, sembra totalmente assente dalle priorità dei consiglieri della Regione Lazio i quali, con l’incredibile concorso del Movimento 5 Stelle (che invece in Lombardia è stato fra i promotori e sostenitori del dimezzamento delle firme), hanno addirittura approvato e salutato con entusiasmo la nuova legge elettorale che ha introdotto una disciplina, incostituzionale, istituiva del “castismo”.
La recentissima Legge n. 10 del 3 novembre 2017, approvata dal Consiglio all’unanimità, ha infatti sancito che per una nuova lista sia sufficiente, per ottenere l’esenzione dalla raccolta firme, una semplice dichiarazione di collegamento con un gruppo consiliare, anche se recante denominazione diversa, o addirittura l’inserimento del proprio contrassegno in quello di una lista già a qualsiasi titolo esentata (articolo 9): in pratica chi si “allea” con il “Palazzo” non deve preventivamente presentarsi agli elettori per la raccolta firme e dimostrare di essere presente sul territorio.
Orbene, se la ratio (pur discutibile) della esenzione in favore di chi è stato già eletto in Consiglio Regionale può rinvenirsi nell’aver dimostrato di esistere ed aver già raccolto le firme, ci sembra invece una inaccettabile e macroscopica violazione costituzionale il sopruso costituito dalla concessione di un enorme privilegio, qual è l’esenzione, in virtù di una semplice alleanza con la “casta”. Si finisce, in tal modo, per istituzionalizzare le disuguaglianze e per favorire chi non rappresenta che se stesso e il proprio centro di potere, a scapito di chi, pur già radicato sul territorio con una buona base di militanti, è tuttavia ancora fuori dalle istituzioni.
Peraltro sia il Legislatore nazionale che quello lombardo, che pur hanno introdotto simili ipotesi di esenzione con le ultime abominevoli novelle (si pensi a conseguenze come il caso Bonino-Tabacci), consapevoli del grave colpo inferto al principio di uguaglianza e ai diritti costituzionali di elettorato passivo ed attivo, anche alla luce del ristretto lasso di tempo concesso per gli adempimenti pre elettorali, hanno ritenuto di dover in parte rimediare al proprio abominio, ricorrendo al dimezzamento delle firme.
La relazione di accompagnamento del progetto di legge regionale 386 approvato oggi dal Consiglio Regionale della Lombardia, è esplicita in tal senso: “La proposta di dimezzamento delle firme dei sottoscrittori aiuta a superare anche la possibile barriera tra i gruppi presenti nelle assemblee, che con le attuali norme non devono far sottoscrivere le proprie liste di candidati mentre per le nuove formazioni – forze non presenti con un proprio gruppo nell’assemblea – sono obbligate a raccogliere le firme.”
Nulla di simile, invece, sembra all’orizzonte per il Lazio.
Davvero non possiamo credere che i consiglieri della Regione Lazio vogliano macchiarsi di un tale affronto ai nostri condivisi valori democratici, o addirittura assumersi la responsabilità di accettare una competizione elettorale che, poiché si svolgerebbe in palese violazione della Costituzione, sarebbe certamente destinata ad essere invalidata per iniziativa delle liste che ne risultassero escluse perché limitate nell’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti.
Chiediamo, pertanto, che il Consiglio della Regione Lazio dia un forte ed immediato segnale di rispetto per la democrazia, provvedendo in via di estrema urgenza, visto il ridottissimo tempo a disposizione, a seguire l’esempio dell’Assemblea lombarda, DIMEZZANDO le firme necessarie alla presentazione delle liste circoscrizionali per le elezioni del 4 marzo.
Qualora ciò non dovesse malauguratamente accadere, ci adopereremo in ogni sede competente per ottenere il ripristino del senso più profondo della parola democrazia: tanto dobbiamo a noi stessi e a tutti i militanti che si stanno adoperando con abnegazione per vedere il proprio simbolo, per la prima volta, su una importante scheda elettorale.
Stefano Rosati
(candidato alla presidenza della Regione Lazio per la lista “Riconquistare l’Italia”, promossa dal Fronte Sovranista Italiano)
Stefano D’Andrea
(presidente del Fronte Sovranista Italiano)
Lorenzo D’Onofrio
(segretario del Fronte Sovranista Italiano)