di Romina Ramaccini
Quella inaugurata giovedì 20 marzo alle Scuderie del Quirinale, a Roma, è una di quelle mostre che non si possono assolutamente perdere. Sono più di 160 le opere esposte tra disegni, fotografie, litografie e dipinti ad olio (di cui quaranta solo ritratti ed autoritratti), tutte volte a presentare al pubblico la complessa figura dell’artista messicana la cui vita, purtroppo, s’è conclusa troppo presto.
La sua attività artistica, infatti, si concentra in poco meno di un trentennio, ma nonostante ciò Frida è riuscita a far propri ed a riportare sulla tela il suo tempo, le singole emozioni dell’individuo e soprattutto le sue sofferenze: in realtà la pittura, per lei, è stata un’ancora di salvezza, i suoi quadri sono come pagine di un diario da sfogliare e leggere attentamente, questo perché ha creato un’inseparabile legame ed uno stretto connubio arte-vita .
Il suo percorso artistico permette allo spettatore di entrare in contatto con i principali movimenti internazionali del tempo: dal Modernismo al Surrealismo, dalla Nuova Oggettività al cosiddetto Realismo magico, il tutto supportato anche dalla presenza di opere di De Chirico, Siqueiros, Rivera, Abraham ed altri artisti a lei contemporanei.
Frida Kahlo nasce il 6 luglio del 1907 a Coyoacan (Città del Messico), nonostante lei affermasse essere nata nel 1910, anno in cui ebbe inizio la Rivoluzione messicana. Il nome originario era Frieda, ma come possibile lo cambiò perché evocava fin troppo le radici tedesche. Fin dalla nascita la sua salute risultò complessa perché affetta da spina bifida, ma fu all’età di 17 anni che la sua vita venne definitamente compromessa, a causa di un incidente che le farà subire ben 32 interventi chirurgici, 3 aborti e costanti dolori. L’evento la portò per molti mesi al letto, cambiandone definitivamente i progetti precedenti che la vedevano studentessa in medicina. È in questo periodo che, immobilizzata al letto, dedica molte ore alla lettura, in particolar modo quella relativa al movimento comunista, ed inizia a dipingere, soprattutto se stessa e per farlo al meglio, si farà mettere uno specchio nel soffitto.
“Dipingo me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio”, queste le sue parole, parole che esprimono pienamente il dolore e la solitudine, costanti compagni di viaggio nella vita di Frida.
Le sofferenze però, non riguardano solamente la salute: oltre a sopportare il peso delle conseguenze dell’incidente, dovrà confrontarsi anche con quelle derivate dal suo matrimonio con il muralista messicano Diego Rivera, che ha vent’anni più di lei e che sposerà nel 1929. “Nella mia vita ho avuto due grandi disgrazie. La prima fu il mio incidente, la seconda, l’incontro con Diego. La seconda fu ben più grave della prima ”.
La mostra si apre proprio con le opere a confronto dei due coniugi: quella di Diego, Paesaggio con cactus del 1931,affronta con umorismo il ruolo dell’uomo tra i suoi simili, mente quella di Frida, Autoritratto come Tehuana (o Diego nei miei pensieri) del 1943, affronta il tema della trascendenza e dell’amore: il marito è raffigurato come un terzo occhio, riferendosi ai molti pensieri che l’artista rivolge al proprio compagno.
L’opera mostra già una certa maturità se confrontata con il suo primo Autoritratto con abito di velluto del 1926 (che si può ammirare nella sala successiva e che richiama il linearismo botticelliano): nonostante autodidatta, Frida ha una mano ferma, un’attenzione quasi maniacale del particolare, probabilmente derivata dalla sua esperienza giovanile, quando aiutava il padre fotografo nel ritocco, attività che le ha conferito quel tipico tocco di pennello che caratterizza la sua opera. Nel 1943 Frida aveva già una ben radicata esperienza, grazie ai molti contatti con artisti contemporanei e ai viaggi effettuati. Con Diego si era appena risposata dopo che, nel 1935, vi si era separata a seguito della relazione del marito con la sorella minore di Frida, Caterina. Con lui si recò anche a New York, città da cui rimase molto affascinata e che dipinse nel suo Autoritratto al confine tra Messico e Stati Uniti nel 1932, dopo che tornò nella propria città a seguito della sospensione a Rivera dell’opera che stava eseguendo. Successivamente vi tornò per una propria mostra grazie ad André Breton conosciuto nel 1938 in Messico, teorico del surrealismo, che, colpito dalle opere di Frida ammirate nella sua casa, ne scrive anche l’introduzione nel catalogo dell’esposizione.
Proseguendo, una serie di paesaggi giovanili presentano il mondo circostante dell’artista, la piccola realtà attorno a lei. Sono eseguiti en plein air, secondo la nuova tendenza che si stava diffondendo a scapito del rigido accademismo e richiamano lo stile del pittore naif precocemente scomparso Abraham Angel.
Foto e video accompagnano il tutto ma sono i ritratti quelli che prevalgono: prima di accedere al piano superiore dove si avrà la massima espressione dell’artista, Autoritratto con collana di spine e colibrì, opera del 1940 e manifesto di questa mostra, rappresenta un vero e proprio capolavoro, con cromie accese, richiami esoterici, cura maniacale del dettaglio e fortemente evocativa. La corona di spine riconduce espressamente al suo dolore, ma lo sguardo dell’artista non sembra perdersi nella sofferenza, ma si presenta ben saldo e proiettato verso il futuro, un futuro che ancora, purtroppo, non gli riserva episodi positivi. Al secondo piano alcune delle opere migliori che conducono all’interiorità dell’artista, ora in modo diretto.
Immergersi nel mondo di Frida vuol dire venir catturati da un vortice di emozioni in contrasto tra loro, dove odio ed amore, dolore e felicità si mischiano. Arma per esprimere il tutto sono gli innumerevoli simboli e richiami alle diverse culture, i suoi linguaggi criptati e le molte allusioni, come nel corsetto ortopedico esposto che lei dovette utilizzare negli anni Cinquanta, quando l’aggravarsi delle sue condizioni le impediva di muoversi. Qui son rappresentati il sole e la luna, simboli associati alla protezione del feto; Frida in realtà dipinge molto spesso questi due astri nelle sue opere, per trasporre in immagini anche la sua storia con Diego: così raffigura la conciliazione, all’interno di un’unità cosmica e la loro unione, concetto che è alla base della cultura dualistica messicana (L’abbraccio e l’amore dell’universo, la terra, io, Diego ed il signor Xòloti). Nello stesso corsetto, una falce e un feto, quel feto che non vedrà mai la luce. Sempre dei propri aborti “parla” nello studio preparatorio del dipinto Henry Ford Hospital e nelle litografie Frida e l’aborto, eseguite con l’aiuto dell’amica Lucienne Bloch. Di notevole impatto anche la serie di disegni Le Emozioni, eseguiti su consiglio dell’amica studentessa in psicologia Olga Campos che le suggerì di esorcizzare i suoi pensieri suicidi rappresentandone le emozioni. È davvero un’impresa tentare di sintetizzare il lavoro dell’artista messicana perché ogni opera meriterebbe un capitolo a parte. La cosa certa è che la semplice osservazione non basta, tutti i suoi lavori necessitano di una profonda conoscenza per riuscirne a captare ogni singolo messaggio. Chi ha provato già quando era in vita ad immortalare Frida ed il suo essere sono stati Leo Mati e Nikolas Muray (suo amante per lungo tempo). Una serie di foto mostrano l’artista in varie situazioni cercando di catturarne l’anima. È meraviglioso osservare i molti travestimenti e come lei orgogliosa si mostrava davanti alla macchina fotografica. La mostra termina con gli ultimi lavori: la pittrice sente enormemente il peso della malattia ed utilizza la frutta per raffigurare implicitamente sé stessa. Negli anni Trenta la utilizzava come simbolo soprattutto dei desideri sessuali, ora, invece, ne traspare un’enorme malinconia, come in Sguardi del 1951 dove le forme della noce di cocco si trasfigurano nei tratti di un volto addolorato.
Autoritratto con colomba e lemniscata del 1954, fu probabilmente il suo ultimo dipinto. La colomba, che leggendo tra le righe del suo diario alludeva ad una poesia di Rafael Alberti, al tramonto del sole e della luna si posa sul capo dell’artista a simboleggiare l’anima smarrita. Frida si ritrae ammutolita, con i tratti non più ben delineati e con gli occhi tristi.
È il 13 luglio 1954 quando Frida chiude gli occhi. Oggi le sue ceneri son conservate nella Casa blu donata nel 1955 da Rivera allo Stato messicano. Il marito morirà 3 anni dopo e, contrariamente alla sua richiesta, verrà sepolto distante dalla sua amata.
Frida non fu solo la moglie di Rivera, ma una grande donna la cui vita, fatta di grande sofferenze e scandali (come le sue molte relazioni omosessuali o l’abuso di alcool e droghe) ha voluto rendere pubblica attraverso le opere ed il diario che ci ha lasciato. Ancora oggi c’è molto da scoprire e questa mostra ci aiuta a capire quanto Frida fosse in anticipo rispetto a molti artisti che solo successivamente riusciranno ad inglobare nei propri lavori le singole emozioni dell’uomo.
Le opere esposte provengono da tutto il mondo e sono davvero un’occasione unica per ammirare l’intera e completa carriera artistica di Frida. La mostra sarà visibile fino al 31 agosto, lunedì compreso e viste le molte prenotazioni già effettuate (35.000 erano quelle prima dell’inaugurazione), non sarà difficile il prevederne l’enorme e meritato successo.
Frida Kahlo, a cura di Helga Prignitz-Poda, dal 20 marzo al 31 agosto, Scuderie del Quirinale, Roma. Info: www.scuderiequirinale.it. Dal 20 settembre aI 15 febbraio 2015 Frida Kahlo e Diego Rivera al Palazzo Ducale di Genova.