di Attilio Rosati
Ve lo giuro, io non so nemmeno di che partito è il Ministro dello sport Vincenzo Spadafora. Me ne frega meno di niente; ma quest’uomo ha posto un quesito che mi pare intriso di grande ed inusitato buon senso. Ha afferrato una penna e un pezzo di carta e ha scritto al Presidente dell’Uefa Alexander Ceferin, chiedendo: “Ti sembra il caso di mantenere la finale di Champions League a Istanbul con quello che stanno combinando i turchi a danno della popolazione civile curda? I gravissimi atti di violenza nei confronti dei civili curdi, uccisioni, stupri, attacchi a tradimento, non richiederebbero atti concreti di condanna?”
Può sembrare una cosetta da nulla ma a ben vedere, fino ad oggi, la proposta di Spadafora – giocare altrove la finale della più prestigiosa manifestazione calcistica d’Europa – rende concreta l’unica iniziativa pratica e non teorica per manifestare dissenso e riprovazione nei confronti della politica anticurda della Turchia.
Perchè: 1) Il Consiglio degli affari Esteri dell’Unione Europea si è limitato alla solita dichiarazione di condanna scritta col copia e incolla alla quale cambiano solo nome della nazione e data da anni e che per il resto, è identica a quella scritta in occasione del vile attacco romano nei confronti di Cartagine (Terza guerra punica, 146 a.C.).
2) L’Italia, che in queste cose si contraddistingue sempre per nefando menefottismo, ad oggi ha formalizzato una grave e solenne minaccia: di non vendere più armi ai turchi. Nella quale però, si dimentica di precisare che oramai quelle di cui avevano bisogno gliele abbiamo già vendute tutte.
Svolgere il 30 maggio prossimo la finale di Champions a Istambul significherebbe suggellare definitivamente un patto scellerato a vantaggio della Turchia e della sua politica criminale nei confronti delle popolazioni curde. Si può evitare. Basterebbe che l’Uefa non usasse la lettera del Ministro Spadafora per incartare il merluzzo.