di Attilio Rosati
Il populismo, spinto all’eccesso, può determinare conseguenze devastanti. Il fenomeno di “Ebola politica” che ha determinato il Referendum sulla separazione della Gran Bretagna dal resto d’Europa ne costituisce un fulgido esempio.
Simile alla ghigliottina di Robespierre, la cosi detta “Brexit” ha fatto strage di esponenti politici della Vecchia Albione. La prima illustre capoccia a planare sul terreno dello scontro politico è stata quella di Teresina May: dopo aver proposto varie soluzioni per ammorbidire l’uscita dell’Inghilterra dall’Europa, compresa quella di fingersi morti fin quando l’Europa non si distraesse, ha dovuto lasciare lo scranno di Downing Street, trascinando nel ludibrio un paio di ministri ed un discreto numero di sottosegretari. È stato solo l’inizio di una pandemia che non accenna a finire. Il nuovo “vate” della separazione, Boris Johnson, pensando bene di sospendere nientemeno che il parlamento inglese, ingrippatosi sullo spinoso problema, è stato dichiarato “fuori legge” dalla Suprema Corte britannica, custode della legalità. Un fatto gravissimo. Sarebbe come se, fatte le debite proporzioni, la Corte Costituzionale fosse costretta ad intervenire perché Conte tentasse di trasformare Montecitorio in un Sushi bar.
Perfino il Leader laburista Corbyn, di solito pervaso da inesauribile flemma inglese, ha parlato di “disprezzo per la democrazia” e “abuso di potere”. Niente! Ovviamente il neo eletto premier, nonostante sia al momento piuttosto recalcitrante, si dovrà dimettere diventando il leader inglese più veloce della storia ad andarsene. Chissà quante capocce cadranno ancora, prima che il gioco resti. Tutto questo per non dire: ragazzi, scusate, ci siamo sbagliati. Non andiamo da nessuna parte. Chi populista non è, pensa che una questione delicata come quella della separazione di una nazione da un continente non può essere decisa a colpi di referendum: sarebbe come eleggere Trump alla presidenza degli Stati Uniti, ma vallo a dire…