di Attilio Rosati
I dati dell’influenza polmonare proveniente dalla Cina, stanno assumendo proporzioni da bollettino di guerra. Quarantaduemila infettati, 1141 morti e le conseguenze si stanno ripercuotendo pesantemente anche sull’economia italiana.
Già la situazione della crescita della produzione industriale era drammatica prima con un trend prossimo allo zero (0,2%). Ora il blocco delle esportazioni/importazioni verso e dalla Cina rischia di ammalare ancora più gravemente i portafogli di tutti gli italiani, a cominciare da quelli che hanno trovato impiego in attività commerciali e industriali cinesi in Italia, che ora, a causa del crollo della domanda, rischiano il licenziamento. Impiegati nelle fabbriche, commessi, camerieri in ristoranti cinesi, ecc.
Il Ministero delle finanze, dice che “dopo il primo trimestre dell’anno, l’economia mondiale dovrebbe riprendere slancio”, ma una simile affermazione postula che le conseguenze dell’infezione virale, comprese quelle economiche, siano valutabili e quantificabili e cosi, al momento, non sembra. Il governo parla di “forme di sostegno alle attività economiche e di export” coinvolte, ma al momento siamo ancora nel campo delle pie intenzioni, non si sa quali esse saranno e soprattutto, come saranno finanziate. Intanto i danni aumentano. Ovviamente, crollata la produzione industriale del 5% in Cina, flette di conseguenza anche la domanda di petrolio e con essa il crollo del prezzo del greggio. Lite fra paesi produttori perché la Russia gioca al ribasso annunciando nuove diminuzioni del costo del barile che fanno incazzare gli arabi i quali, invece, vorrebbero tamponare le perdite diminuendo la produzione, non il prezzo. Insomma un casino. Se la gita fuori porta quest’anno costerà di meno il calo del gradimento dei cibi cinesi e il conseguente ritorno alla cucina italiana, probabilmente determineranno un incremento insostenibile delle pappardelle al cinghiale maremmano. Flussi economici di cui oggi più che mai, siamo vittime inermi.