di Attilio Rosati
Vi ricordate di come ero? Provate a chiudere gli occhi, e guardate dentro di voi. Mi vedete? Mi ricordate correre, felice, inseguendo le grida di gioia di mia figlia, la sensazione della primavera che mi faceva ansimare di gioia. Vi ricordate di come correvo dietro al pallone durante quelle insulse partitelle fra colleghi che giocavo con la grinta di un campione impegnato nella finale di coppa del mondo? E la mia voce? Non sentite le vostre orecchie fischiare ancora per i miei berci, quando cantavo a squarciagola con gli amici? Tentavate di soffocare le risa, ed io vi vedevo sghignazzare alle mie spalle ma non mi importava. Ero felice di vivere e di poter cantare la mia gioia di vivere. E condividerla con voi.
Pensate un momento a come mangiavo e a quante volte mi avete deriso, insieme alla mamma, per la mia vorace, insaziabile fame. Dicevate che ogni volta sembrava mangiassi per la prima volta in vita mia e i vostri lazzi erano sempre diversi e fantasiosi. “Papà, non è una gara!” “Guarda che il piatto non vola via!”, “Papà, respira!”
Guardatemi ora, aprite gli occhi, adesso. Ascoltate il mio respiro meccanico che passa attraverso queste maledette macchine che mi tengono in vita, se per voi questa è vita. Guardate i miei occhi, fatelo per l’ultima volta con tutto l’amore che avrete dentro, e poi, vi prego, staccate la spina. Restituitemi con il vostro affetto, la mia dignità.